Il "III periodo - Carlo Leopoldo Ginori 1792 - 1837" è testimone dello stile Impero (anch'esso proveniente dalla Francia), che imponeva forme più lineari e severe. Caratteristici sono i serviti ed i vasi decorati "all'ercolana", con soggetti tratti dai volumi "Delle Antichità di Ercolano" tuttora conservate presso la Biblioteca del Museo delle Porcellane di Doccia. Secondo la volontà di Lorenzo Ginori, la manifattura doveva essere ereditata dal primogenito, ma non fu possibile visto che le leggi vigenti all'epoca impedivano il diritto di primogenitura. Per far rispettare i desideri del marchese fu necessario un permesso speciale. Nel frattempo la fabbrica fu ereditata dalla madre, Francesca Lisci, in attesa che il figlio compisse l'età matura. L'Ottocento segna per la Ginori il passaggio da manifattura a industria: si continuò la ricerca di qualità migliori e con l'annessione della Toscana al trono napoleonico la ditta proseguì secondo il filone francese. Questa scelta le permise di non subire la chiusura forzata di altre fabbriche in Italia. Il Cozzi della ditta veneziana continuò a fornire di terra la fabbrica così come Limoges. Nel 1803, per volontà del Consiglio dei Tutori della fabbrica, si scelse di contraddistinguere fra i tipi di pezzi. Per la "prima scelta", si scelse di apporre il marchio "P.S."; per quelli più raffinati, fini appunto, s'impose la lettera "F". Le caffetterie, che adesso assumono la denominazione "vasi da caffè", tavolta hanno forme cilindriche mentre in quelle a sagoma ovale il coperchio risulta incassato al collo; seguendo la moda francese, le anse assumono forma di grifoni o delfini e i beccucci prendono spesso forma di cavallo. Anche gli scavi archeologici inspirano nomi a nuove sagome. Durante la gestione di Leopoldo dal 1813 al 1837, la fabbrica tiene ben presenti le necessità dei circa 200 dipendenti, migliorandone le condizioni di vita, attraverso varie iniziative come per esempio l'istituzione di scuole materne, di istruzione artistica e musicale e la ristrutturazione delle case costruite nei dintorni della fabbrica. A Parigi, Leopoldo conobbe il direttore tecnico della fabbrica di Sévres, Alexandre Brongniart, uno dei più grandi esperti del momento, sia nella selezione delle terre che nel loro dosaggio per la composizione di impasti molto raffinati. Tra il 1816 e il 1818 l'abile marchese riuscì a creare una fornace circolare detta "all'italiana", con un'altezza di dodici metri e un diametro di sei, costituita da quattro piani. Questo tipo di costruzione permetteva la cottura simultanea di più ceramiche, con notevoli risparmi. Nel primo piano inferiore, dove la temperatura raggiungeva i livelli più elevati si cuoceva la porcellana dura e quella tenera, il "masso bastardo", nel secondo la maiolica, la terraglia e la porcellana senza vernice, nel terzo e quarto sempre la maiolica, le terraglie ed il "masso bastardo" che avevano già ricevuto la verniciatura. Perfino lo stesso Brongniart nel suo celebre "Traité des Artes Céramiques ou des Poteries" ne riportò anche un disegno. Dal trattato si evince anche la composizione delle porcellane di Doccia dell'epoca. Per la fine si usava il caolino di Saint Yrieix e quello del Tretto nel vicentino, per la tenera, detta "masso bastardo", si usavano proporzioni diverse dei due caolini della fine, a cui si aggiungeva argilla di Montecarlo, presso il lago di Bientina. La vernice per la porcellana dura era composta da caolino di Sant Yrieix, petrulla di Calabria, che era una sabbia argillosa molto dura, caolino del Tretto e calcare saccaroide. Per quella tenere si usava sabbia silicea di Antibes, cristallo, massicot, cioè marzacotto comprendente piombo e stagno, minium, sale marino e presumibilmente anche vetro piombifero. Il marchese Leopolodo inoltre costruì, nei pressi della Zecca Vecchia a Firenze, un grande mulino a sei macine mosse dell'acqua dall'Arno. Fra gli artisti stranieri che operano a Colonnata nel periodo si deve segnalare il ginevrino François Joseph de Germain, con le sue decorazioni sui piatti aventi come soggetto vedute del territorio fiorentino, caratterizzate da una maniera estremamente raffinata che ben si accompagna ai fastosi ornamenti in oro su fondo blu della tesa, secondo l'influenza della porcellana di Sévres. Il granduca di Toscana richiese questo tipo di decorazione come dono per un Kedivè egiziano, per ringraziarlo dell'invio di una giraffa. Abrahm Costantin, di origine ginevrina introdusse a Doccia il particolare genere delle placche di porcellana su cui venivano riprodotti celebri capolavori della pittura. Costantin fu inviato in Italia dalla manifattura di Sévres, ed iniziò a lavorare per i toscani dal 1820. Tra gli allievi del Costantin figurano Giovanni Fanciullacci e l'abilissimo Giuseppe Baldassini. Nel museo delle porcellane di Doccia, a Sesto Fiorentino si trova una sua placca dipinta nel 1825, raffigurante il celebre quadro di Cristofano Allori "Giuditta che mostra la testa di Olofene", conservato a Firenze, nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Merita di essere citata anche la collaborazione della Ginori con Jean David, che insegnò a brunire l'oro ed ad ottenere i colori opachi o "matti" (mats in francese). Molte sagome subiscono numerose trasformazioni, con ispirazione al vasellame di repertorio archeologico e molti decori furono detti a "incisione". Un nuovo genere fu poi introdotto dal pittore Ferdinando Ammanati che preferì collaborare con la manifattura toscana visto il passaggio, nel 1807, della Real Fabbrica di Napoli al nuovo proprietario, il francese Poulard. Egli dipinse scorci di città italiane, paesaggi con rovine, in policromia, come ad esempio la zuppiera detta a "tripode" per la presenza di tre esili sostegni terminanti a zampa. In questo periodo si arricchì la tavolozza con nuovi colori (verde cromo, verde moscone, carminio, rosa, carnicino, ed il lieve"color aria"). Tra i collaboratori del reparto di scultura meritano di essere menzionati Gaspare Bini e Gaetano Lici. La morte prematura di Leopoldo Ginori avvenuta nel 1837, conclude questo intenso periodo, ricco di grandi novità.
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