domenica 22 novembre 2009

V Periodo - Carlo Benedetto Ginori Lisci 1879-1896

Con la direzione di Carlo Benedetto Ginori Lisci la manifattura di Doccia vive un periodo d'intensa attività: con l'introduzione dell'energia elettrica viene di fatto aumentato fino a sedici il numero dei forni, con un conseguente straordinario incremento di produzione. Parallelamente il numero degli operai che nel 1870 era di 500, salì a 1500 nel 1895. Nel 1889 un'esposizione a Parigi manifestò una produzione molto attenta ai motivi orientali come lo era del resto anche per Sèvres. Lentamente in Europa va delineandosi un nuovo clima fatto di influssi orientali, e la manifattura di Copenhagen ne fu l'esempio più eclatante, ma anche a Doccia se ne subì il fascino. Oggi purtoppo non ci sono rimasti che pochi esemplari: ciò è forse dovuto all'esigua e limitata produzione forse troppo moderna per l'epoca. I temi dominanti erano calligrafici motivi floreali che si disponevano liberamente sulle superfici degli oggetti, molto spesso in una perfetta sintesi strutturale-decorativa. In Italia le radici dell'eclettismo frenarono quest'influsso e trovarono invece la massima espressione all'inizio del nuovo secolo. Tra i tipi di esemplari legati al nuovo gusto vi sono i piatti realizzati per un serivizio da dessert commisionato per il re Umberto I. Furono impiegati i migliori decoratori come avveniva spesso per le grandi committenze. Eugenio Riehl e Lorenzo Becheroni furono alcuni di essi. Quest'ultimo è probabilmente il ralizzatore del vaso rappresentate la regina Margherita e un altro vaso rappresentate il re Umberto I, conservati all'interno del Museo delle porcellane di Doccia. Dal 1879 al 1880 il faentino Angelo Marabini determinò un indirizzo stilistico diverso, si adottarono soggetti desunti del mondo biblico. In questo momento nasce una costante seria produzione industriale, come ad esempio gli elementi per il settore dell'elettricità. Successivamente il settore si ampia anche al mondo della telegrafia, della farmaceutica e della chimica. La morte di Lorenzini nel 1891, cui subentrarono i nuovi direttori Luigi Guazzini ed Enea Giusti che non furono all'altezza del predecessore, la mancanza di accordo tra i proprietari, impegnati a gestire altre attività (Carlo Benedetto era anche deputato al Parlamento del Regno e direttore dell'Istituto di belle arti e della Scuola di Architettura), che non trovarono una figura disposta ad impegnarsi in prima persona nella fabbrica ed allo stesso tempo capace di affrontare la crisi economica che attanagliava l'Italia di fine ottocento sono i principali fattori che portarono, nel 1896, alla fine della prima grande era della storia della Manifattura: Carlo Benedetto, prima della sua morte avvenuta nel 1905, infatti decise di vendere la Manifattura che fu acquisita dalla Richard di Milano. Questa fece sicuramente un buon affare visto che la Manifattura Ginori vantava oltre al nome famoso anche grande potenzialità di sviluppo che si incanalarono principalmente nella produzione di materiale elettrotecnico, che era in fase di espansione.

venerdì 6 novembre 2009

IV periodo - Lorenzo II Ginori Lisci 1838-1878

Il "IV periodo - dal 1838 al 1878" è quello che vede, la diffusione dei prodotti in tutto il mondo. Tra il 1870 ed il 1896 il numero degli operai passò da 500 a 1500 e la produzione di maioliche subì un notevole aumento e raggiunse un perfezionamento tale da poter riprodurre le famose maioliche rinascimentali e le antiche opere dei Della Robbia. Comincia lo stile Liberty, e con la proclamazione del Regno d'Italia la Manifattura ricevette anche commissioni da parte dei Savoia e, in collaborazione con i fotografi Alinari, venne perfezionata la tecnica di fotografia applicata alla porcellana. Ancora una volta alla morte del padre, Carlo Leopoldo Ginori, il proprietario designato, Lorenzo II, non era ancora maggiorenne, e fu necessario un periodo di tutorato. In questo periodo la famiglia Fanciullacci assunse sempre più la gestione della manifattura. Questa situazione indusse Lorenzo II dopo il tutorato di licenziare i Fanciullacci. Dal 1847 l'erede gestì l'impresa dimostrandosi subito molto abile ed esperto ceramista ed applicando la chimica appresa a Parigi. Si affiancò a collaboratori validi quali Paolo Lorenzini, Maestro di Doccia dal 1854 al 1878 e fratello di Carlo lo scrittore noto come Collodi. Insieme affrontarono e vinsero la sfida del nuovo mercato nazionale apertosi in seguito all'abbattimeno delle barriere protezionistiche che frazionavano la penisola prima del 1861, non rimanendo schiacciata dalla concorenze dei paesi stranieri dove la Rivoluzione Industriale era maggiormente avanzata. Nel 1850 Lorenzo II ideò e costruì un nuovo forno che consentiva l'ossidazione del piombo e dello stagno per la composizione delle vernici metalliche, che cominciarono ad essere applicate sulla porcellana per realizzare gli effetti cangianti propri dei lustri. Oltre al risultato migliore rispetto ai forni precedenti ottenuto in tempo minore, la nuova fornace consumava solo la trentacinquesima parte del combustibile necessario in precedenza e sottraeva gli operai dal diretto contatto con i vapori tossici e le esalazioni che si sprigionavano durante la cottura e risparmiò loro anche l'elevatissima temperatura dell'officina. Con la proclamazione dell'Unità D'Italia nel 1881 venne organizzata a Firenze la Prima Esposizione Artistica ed Industriale, dove la manifattura ottenne la Medaglia d'Oro. La ditta espose anche a New York nel 1853, a Sydney nel 1879, a Melbourne nel 1881 e a Rio de Janeiro nel 1884. Intanto furono introdotti a Doccia macchinari che migliorarono le operazioni di foggiatura e colaggio. Nel 1867, vista l'esplosione produttiva, fu impiantato in Val di Marina, nel Comune di Calenzano, un nuovo edificio, detto Ginoriana, con ben 24 macine che servivano sia per le paste che per le vernici, in sostituzione di quello costruito anni prima a Firenze. Furono aperti nuovi negozi per la vendita a Firenze, Napoli, Roma, Bologna, Milano, Torino. Nel 1872 fu fondata a Sesto Fiorentino la Scuola di Disegno Industriale, con il preciso scopo di formare maestranze specializzate destinate a trovare occupazione nello stabilimento di Doccia. La produzione, come uso dell'epoca riflettè i motivi classici, determinando tuttavia uno stallo poco innovativo Con la proclamazione di Firenze capitale d'Italia inizia una regolare produzione per il regno sabaudo. Il re Vittorio Emanuele II durante la sua visita alla fabbrica del 1861 ne rimase affascinato. Fra le varie committenze si ricorda il raffinatissimo servizio da caffè in porcellana a "guscio d'uovo", o le toelette, ovvero le cosiddette "porcellane da camera", fra cui si distinse il modello"servito inglese", composto generalmente da due mesciacqua, un bacile, quattro scatole rettangolari per sapone e spazzolini, quattro vasetti di misure diverse per pomate o talco. Furono poi realizzate per i sabaudi le tazzè da colazione, intorno all'anno 1865, ed un'opera veramente singolare: il servizio per il Kedivè d'Egitto, con decori ispirati all'arte dell'antico Egitto. In questoperiodo si ha anche la comparsa di immagini tratte da foto, grazie all'aiuto valente dei fratelli Alinari, da riprodurre sulla porcellana, mediante cromolitografia. Durante questo periodo grande importanza fu data alla produzione di ceramica. Fra questi oggetti sono da segnalare dei sedili dalle forme più svariate: a tamburo, a cuscino, o con scimmia tra filodendri che nell'esposizione di New York suscitarono notevole interesse. Nel 1878 il marchese Lorenzo II muore e la fabbrica viene ereditata dai quattro figli: il primogenito Carlo Benedetto, ne assumerà la direzione.

giovedì 5 novembre 2009

III periodo - Carlo Leopoldo Ginori 1792 -1837


Il "III periodo - Carlo Leopoldo Ginori 1792 - 1837" è testimone dello stile Impero (anch'esso proveniente dalla Francia), che imponeva forme più lineari e severe. Caratteristici sono i serviti ed i vasi decorati "all'ercolana", con soggetti tratti dai volumi "Delle Antichità di Ercolano" tuttora conservate presso la Biblioteca del Museo delle Porcellane di Doccia. Secondo la volontà di Lorenzo Ginori, la manifattura doveva essere ereditata dal primogenito, ma non fu possibile visto che le leggi vigenti all'epoca impedivano il diritto di primogenitura. Per far rispettare i desideri del marchese fu necessario un permesso speciale. Nel frattempo la fabbrica fu ereditata dalla madre, Francesca Lisci, in attesa che il figlio compisse l'età matura. L'Ottocento segna per la Ginori il passaggio da manifattura a industria: si continuò la ricerca di qualità migliori e con l'annessione della Toscana al trono napoleonico la ditta proseguì secondo il filone francese. Questa scelta le permise di non subire la chiusura forzata di altre fabbriche in Italia. Il Cozzi della ditta veneziana continuò a fornire di terra la fabbrica così come Limoges. Nel 1803, per volontà del Consiglio dei Tutori della fabbrica, si scelse di contraddistinguere fra i tipi di pezzi. Per la "prima scelta", si scelse di apporre il marchio "P.S."; per quelli più raffinati, fini appunto, s'impose la lettera "F". Le caffetterie, che adesso assumono la denominazione "vasi da caffè", tavolta hanno forme cilindriche mentre in quelle a sagoma ovale il coperchio risulta incassato al collo; seguendo la moda francese, le anse assumono forma di grifoni o delfini e i beccucci prendono spesso forma di cavallo. Anche gli scavi archeologici inspirano nomi a nuove sagome. Durante la gestione di Leopoldo dal 1813 al 1837, la fabbrica tiene ben presenti le necessità dei circa 200 dipendenti, migliorandone le condizioni di vita, attraverso varie iniziative come per esempio l'istituzione di scuole materne, di istruzione artistica e musicale e la ristrutturazione delle case costruite nei dintorni della fabbrica. A Parigi, Leopoldo conobbe il direttore tecnico della fabbrica di Sévres, Alexandre Brongniart, uno dei più grandi esperti del momento, sia nella selezione delle terre che nel loro dosaggio per la composizione di impasti molto raffinati. Tra il 1816 e il 1818 l'abile marchese riuscì a creare una fornace circolare detta "all'italiana", con un'altezza di dodici metri e un diametro di sei, costituita da quattro piani. Questo tipo di costruzione permetteva la cottura simultanea di più ceramiche, con notevoli risparmi. Nel primo piano inferiore, dove la temperatura raggiungeva i livelli più elevati si cuoceva la porcellana dura e quella tenera, il "masso bastardo", nel secondo la maiolica, la terraglia e la porcellana senza vernice, nel terzo e quarto sempre la maiolica, le terraglie ed il "masso bastardo" che avevano già ricevuto la verniciatura. Perfino lo stesso Brongniart nel suo celebre "Traité des Artes Céramiques ou des Poteries" ne riportò anche un disegno. Dal trattato si evince anche la composizione delle porcellane di Doccia dell'epoca. Per la fine si usava il caolino di Saint Yrieix e quello del Tretto nel vicentino, per la tenera, detta "masso bastardo", si usavano proporzioni diverse dei due caolini della fine, a cui si aggiungeva argilla di Montecarlo, presso il lago di Bientina. La vernice per la porcellana dura era composta da caolino di Sant Yrieix, petrulla di Calabria, che era una sabbia argillosa molto dura, caolino del Tretto e calcare saccaroide. Per quella tenere si usava sabbia silicea di Antibes, cristallo, massicot, cioè marzacotto comprendente piombo e stagno, minium, sale marino e presumibilmente anche vetro piombifero. Il marchese Leopolodo inoltre costruì, nei pressi della Zecca Vecchia a Firenze, un grande mulino a sei macine mosse dell'acqua dall'Arno. Fra gli artisti stranieri che operano a Colonnata nel periodo si deve segnalare il ginevrino François Joseph de Germain, con le sue decorazioni sui piatti aventi come soggetto vedute del territorio fiorentino, caratterizzate da una maniera estremamente raffinata che ben si accompagna ai fastosi ornamenti in oro su fondo blu della tesa, secondo l'influenza della porcellana di Sévres. Il granduca di Toscana richiese questo tipo di decorazione come dono per un Kedivè egiziano, per ringraziarlo dell'invio di una giraffa. Abrahm Costantin, di origine ginevrina introdusse a Doccia il particolare genere delle placche di porcellana su cui venivano riprodotti celebri capolavori della pittura. Costantin fu inviato in Italia dalla manifattura di Sévres, ed iniziò a lavorare per i toscani dal 1820. Tra gli allievi del Costantin figurano Giovanni Fanciullacci e l'abilissimo Giuseppe Baldassini. Nel museo delle porcellane di Doccia, a Sesto Fiorentino si trova una sua placca dipinta nel 1825, raffigurante il celebre quadro di Cristofano Allori "Giuditta che mostra la testa di Olofene", conservato a Firenze, nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti. Merita di essere citata anche la collaborazione della Ginori con Jean David, che insegnò a brunire l'oro ed ad ottenere i colori opachi o "matti" (mats in francese). Molte sagome subiscono numerose trasformazioni, con ispirazione al vasellame di repertorio archeologico e molti decori furono detti a "incisione". Un nuovo genere fu poi introdotto dal pittore Ferdinando Ammanati che preferì collaborare con la manifattura toscana visto il passaggio, nel 1807, della Real Fabbrica di Napoli al nuovo proprietario, il francese Poulard. Egli dipinse scorci di città italiane, paesaggi con rovine, in policromia, come ad esempio la zuppiera detta a "tripode" per la presenza di tre esili sostegni terminanti a zampa. In questo periodo si arricchì la tavolozza con nuovi colori (verde cromo, verde moscone, carminio, rosa, carnicino, ed il lieve"color aria"). Tra i collaboratori del reparto di scultura meritano di essere menzionati Gaspare Bini e Gaetano Lici. La morte prematura di Leopoldo Ginori avvenuta nel 1837, conclude questo intenso periodo, ricco di grandi novità.

mercoledì 4 novembre 2009

II periodo: Lorenzo Ginori 1758-1791


Il "II periodo - Lorenzo Ginori 1758 - 1791" è contraddistinto dal "biscuit" (la porcellana bianca non verniciata che era di moda in Francia), e dall'inizio dello stile Neoclassico. Le decorazioni, pur rimanendo simili a quelle del primo periodo, si moltiplicano in varietà e tipi tanto che negli anni Ottanta venivano prodotti 53 differenti serviti da caffè; nuove sono quelle "a rosellina", creato a seguito di decori di Sévres divenne un pregio e un marchio di prestigio ed anche oggi tale decoro è ricercatissimo, "a fiori e frutta sparse" e "a vedute", cioè medaglioni con vedute di città come Firenze, Roma e Napoli. Dopo la morte di Carlo Ginori, la manifattura viene ereditata dai tre figli, Bartolomeo, Giuseppe e Lorenzo; la gestione dell'impresa viene assunta da quest'ultimo che dei tre figli era il primogenito, ed anche l'unico ad aver superato la maggiore età. Lorenzo Ginori possedeva un grande intuito economico e finanziario che compensava le sue conoscenze scientifiche, tipiche invece del padre. Egli riuscì infatti nel primo anno a portare all'attivo il bilancio della fabbrica che fino ad allora era stato sempre deficitario. In particolare riesce a rinnovare la privativa ventennale sulla porcellana, che di fatto fece chiudere la fabbrica aperta in concorrenza dal fratello Giuseppe a San Donato in Polverosa nei pressi delle Cascine. Gli operai "traditori" fuoriusciti dalla Manifattura di Doccia non furono integrati e molti si trasferirono a Napoli presso la fabbrica di Ferdinando IV di Borbone, e tra questi anche Giuseppe Bruschi. In seconda battuta Lorenzo traccia un'analisi tecnica e finanziaria della fabbrica grazie al contributo di un piano economico fatto dal lorenese Johannon de Saint Laurent. Con Lorenzo la fabbrica si avvierà ad una serire di innovazioni, fra cui sale più ampie per le raprresentanze, ove sovente veniva visitata dai nobili che erano i maggiori acquirenti. Eseguirà inoltre una serie di viaggi in europa alla scoperta di nuovi giacimenti minerari e colorifici. Nel 1743 Giorgio delle Torri decide di lasciare la fabbrica, nel 1746 Carlo Ginori viene nominato Governatore di Livorno ed allontanato da Firenze per contrasti politici con il reggente straniero di Firenze, il conte di Richecourt. Nasce così all'interno della fabbrica la figura del Ministro, un odierno direttore, che in un primo tempo sarà Giovan Battista Nobili, uomo di fiducia del Marchese. Ma a sistemare tutti i problemi ecco arrivare la figura dell'allievo di Delle Torri, quel Jacopo Fanciullacci, nominato ministro della fabbrica dal 1748, pochi mesi dopo l'investitura del Nobili che si recherà nel vicentino per dirigere personalmente la selezione delle terre estratte nelle cave del trentino. Parallelamente a questa prosperità non tardarono a comparire numerosi contrasti fra fratelli che culminarono nell'acquisizione totale della fabbrica da parte di Lorenzo. Successivamente contribuirono numerosi fatori esterni al rallentamento dell'attività della ditta. La decadenza del rococò, nella seconda metà del XVIII secol,o contribuì in modo determinante a diminuire gli interessi del pubblico nei confronti della porcellana, che a questo stile era molto legata. La ditta fu costretta ben presto ad abbassare i costi e a produrre articoli meno grandi e costosi . Dalla relazione del Saint-Laurent si evince comunque l'abilità ed i nuovi modi nella preparazione della porcellana. In particolare nell'approntamento del "masso nuovo" si usava lo smeriglio bianco della Lunigiana, il tarsio di Fivizzana, la terra di Venezia e cioè caolino di Schio o del Tretto, importato da Vicenza, e la terra di Vienna, caolino costosissimo proviente per la maggior parte dalle cave di Karlsbad. Per la vernice che veniva stesa sopra per renderlo lucente ed impermeabile si usava smeriglio e la terra di Venezia e di Vienna, con le quali veniva fatto un marzacotto in un crogiolo nella fornace della porcellana, al quale era aggiunto del marmo bianco, prima di sottoporre tutto ad una ulteriore macinatura. Nella fornace della maiolica si effettuavano tre operazioni diverse: la biscottatura della maiolica e della porcellana e nel fornaciotto, cioè la parte più alta e meno calda del forno, venivano cotti i pezzi di porcellana dipinta di più grosse dimensioni. Nella fornace della porcellana si cuocevano infine i pezzi che avevano già subito la verniciatura. La terza ed ultima cottura, che avveniva dopo la decorazione pittorica su un numero assai limitato di pezzi, avveniva nel fornaciotto per i pezzi più imponenti o nella fornace della pittoria per il resto. Due nuove fornaci furono costruite nel 1769, mentre arrivavno nuovi campioni di terre da Passau in Baviera, ed i lavoratori della Manifattura intanto erano arrivati a cento. Dopo il viaggio di Bartolomeo Ginori a Sevres e a Limoges del 1773, dove erano state scoperte le cave di Saint Yrieix, arrivarono a Doccia anche campioni delle terre di Francia, cui seguì nel 1782 un notevole quantitativo di masso francese, ovverosia terre già mescolate nelle dovute proporzioni pronte per essere lavorate.

martedì 3 novembre 2009

I periodo: Carlo Ginori 1735-1757

Se dal 1735 al 1737 praticamente non esiste nessun documento (solo in data 20 aprile 1737 si registra un pagamento ad uno "scalpellino per la costruzione di una fornace...") la suddivisione delle collezioni in cinque periodi consente di ricostruire la storia delle evoluzioni artistiche del gusto nel tempo. Al "I periodo - Carlo Ginori 1735 - 1757" appartengono, fra l'altro, le porcellane decorate "a stampino", che rappresentano prevalentemente ciocche o mazzetti di foglie e fiori; c'è poi "il galletto", uno dei decori più conosciuti e ripetuti a Doccia: si tratta di due galli di profilo che combattono su dei massi, con uno sfondo composto da uno o più alberi con rami intrecciati.
Carlo Ginori, dopo attente ricerche, si impegnò in una serie di ragguardevoli iniziative, come ad esempio l'avviamento delle pesca del corallo in Toscana e la fondazione a Cecina, nei pressi di Livorno, tra il 1735 e il 1740, di una comunità agricola, comerciale e manifatturiera, nella quale venivano proposti interessanti prevvedimenti sociali, come la costruzione delle abitazioni per i dipendenti. Il 21 luglio 1737 dal forno della Manifattura esce la prima "cotta", quasi sicuramente di maiolica, grazie all'opera di un fornaciaio romano, Francesco Leonelli, che già nel 1738 abbandonerà Doccia. Sempre nel 1737, scomparsol'ultimo maschio dei Medici, Gian Gastone, Carlo Ginori viene incaricato di condurre a Vienna la delegazione fiorentina che doveva rendere omaggio al nuovo Granduca, Francesco Stefano di Lorena. Grazie all'amicizia con il Capo per il Consiglio di Stato della Toscana, il barone Carlo di Pfutschner, presenta al nuovo sovrano una privativa per la produzione della porcellana nei territori del Granducato, ma non la ottiene. Intanto però all'interno della fabbrica si continua ad assumere: in particolare lo scultore Gaspero Bruschi, che per molto tempo sarà uno dei principali artefici della fabbrica e istruttore presso la scuola di disegno e pittura interna alla fabbrica in un primo tempo affidata a giovane pittore Angelo Fiaschi, che lavorerà per Ginori fino al 1763. Sempre nel 1737 Ginori assunse al suo servizio due alamanni, il fornaciaio Giorgio delle Torri ed il pittore e doratore Carl Wendelin Anreiter von Zinrnfeld, il primo impiegato presso la fabbrica Du Paquier, il secondo attivo come hausmaer, cioè a domicilio. Giunti a Doccia pochi mesi dopo fu proprio grazie ai loro consigli che iniziarono ad arrivare a Colonnata le terre del Veneto impiegate anche dai Vezzi. Furono realizzate migliorie nei forni: Giorgio delle Torri fu creato un fornacino, mentre per l'Anreiter si pensò ad un fornello per il piombo impiegato nelle vernici ed altri fornellini per i colori. Nel 1739 entrò in funzione una fornace per la porcellana la cui produzione divenne stabile dal 1940. Tra i maggiori collaboratori della manifattura spiccano le personalità quali Giovanni Gori, specialista delle fornaci e della tecnica dell'invetritaura, l'abilissimo tornitore Jacopo Fanciullacci, di provenienza locale, ma istruito dallo stesso Delle Torri come addetto alla composizione ed alla cottura della porcellana, che fu mandato in Veneto appositamente per visitarne le cave ed acquisire le terre più appropriate, Karl Anreiter che introdusse schemi internazionali di maggiore successo ed il figlio Anton, della cui opera in questa fabbrica rimangono due fruttiere: una conservata al museo delle porcellane di Sesto Fiorentino e un altra nella raccolta Ginori Lisci di Firenze. Inoltre tramite la sua influenza compare a Doccia in quegli anni il bassorilievo istoriato, un genere ornamentale alquanto singolare. Terre diverse iniziarono ad arrivare da varie località della penisola: dall'Isola d'Elba il bolo di Rio, a Montecarlo di Lucca Ginori acquistò le cave di Poggio Baldini. Ecco così che nacquero tre tipi di porcellane diverse: una dal corpo accentuatamente bianco fatta con le terre di Venezia, una più perlata grazie alle terre dell'Isola d'Elba, infine una terza più scura che virava al grigio di terra montecarlese. Si diede, così, inizio alla creazione di placchette cinquecenteschi. Nel 1746 all'interno della fabbrica erano all'attivo ben dodici pittori di porcellane. Nascono le pregiatissime tabacchiere furono opera di giuseppe Romei. La richiesta di quest'oggetto era molto elevata data l'uso di fiutare il tabacco diffusasi nella prima metà del Settecento. La loro diffusione inoltre era molto curata dallo stesso marchese Ginori, che dovette aprire un nuovo reparto, il laboratorio degli argenti, per la realizzazione in particolar modo delle cerniere in argento. Dopo il periodo delle tabacchiere si passò a quello dei plastici fra cui "le quattro stagioni" e "le maschere della Commedia dell'arte". Per motivi commerciali furono abbandonati i grandi plastici, preferendo i motivi mitologici. Nella manifattura Ginori tali plastiche erano denominati "caramogi" per indicare una persona sciocca o deforme. Nel 1750 circa nasce il cosiddetto "masso perfetto di Doccia", fatto da cento libbre di terra di Venezia, cioè caolino, duecento libbre di smeriglio, una varietà granulare di corindone contenente ematite e magnetite, e dodici libbre e mezzo di terra di Vienna, un altro tipo di caolino giunto a Doccia dal 1748. Questa era la porcellana più fine che fosse stata mai prodotta a Doccia, mentre nello stesso tempo se ne produceva anche un'altra più gorssolana per la produzione di grandi statue, fatta con terra di Montecarlo e con una scarsissima aggiunta di quella di Venezia. Il primo periodo della manifattura Ginori risultò essere particolarmente fiorente, grazie alle scelte oculate e abili del marchese Ginori.

lunedì 2 novembre 2009

Medici e Ginori: gli albori della nascita in Italia della porcellana


Oggi gli studiosi tendono a dividere la produzione della Ginori in cinque periodi ma ben prima delle esperienze di Meissen, Vienna e Venezia si deve però all'intraprendenza ed agli interessi del granduca Francesco I de' Medici uno dei primi tentativi di creare la porcellana in Europa. Il collezionismo di "cineserie" in casa Medici era già nato al tempo di Piero il Gottoso, nel suo palazzo in via Larga, con dieci pezzi già inventariati nel 1463-'65. Poi Lorenzo il Magnifico ampliò la collezione con donazioni derivanti dal Sultano d'Egitto o acquisti diretti sui mercati medio-orientali. Dal 1545 anche Cosimo I iniziò ad aumentare la collezione che in breve arrivò a 400 pezzi, con oltre cento provenienti dalla Cina. Con Francesco I i pezzi cinesi arrivarono a 250. Ma fu lui che pensò di cimentarsi egli stesso nella fabbricazione di vasi, bacili e fiasche. Coadiuvato da Bernardo Buontalenti e dal miolicaro Pier Maria Faentino, detto "della porcellana", il granduca allestì un laboratorio ed una fornace nel giardino di Bobolo dove dette via ai suoi esperimenti. Miscelando sabbia silicea, vetro, cristallo di rocca, terra bianca di Faenza ed argilla di Vicenza si crearono manufatti grigiastri ed impuri che erano nascosti sotto una vernice bianca, arricchita da decori ispirati sia al repertorio della maiolica istoriata che a quello più peculiari del bianco e blù cinese. L'impresa non sopravvisse al suo patrocinatore ed il fratello e successore al trono granducale Fernando I la interruppe definitivamente. Ma fu proprio lui che, inviando prima sedici porcellane cinesi appartenenti alla collezione medicea, poi seguite da altre di diretta provenienza orientale, al principe Cristiano di Sassonia, stimolarono Augusto il Forte a creare una fabbrica che potesse competere con la produzione cinese. La sfida di Francesco I alle menti illuminate del XVIII secolo fu raccolta proprio dal Marchese Carlo Ginori: è da qui che nasce la produzione del primo periodo. Nel 1737, due anni dopo che l'dea era nata con i primi studi, il Marchese acquistò dal Senatore Francesco Buondemonti Villa delle Corti, situata nel sobborgo di Colonnata, a nord di Sesto Fiorentino, in posizione prospicente l'antica villa di Doccia, residenza suburbana della famiglia Ginori fin dal 1525, con l'intento di dar vita ad una manifattura di porcellana "all'uso della China". Si installarono così le officine, il mulino per la macinazione delle terre e la prima fornace costruita nell'aprile 1737. Il gabinetto scientifico, dove si facevano le prove chimiche, rimase nel palazzo fiorentino. Del legame tra l'idea di Lorenzo de' Medici e l'intuzione del Ginori, resta traccia in uno dei primissimi marchi apposti sulla porcellana della Manifattura di Doccia: quel Duomo di Firenze che già era stato uno dei simboli posti sulle produzioni del Granduca fiorentino.

domenica 1 novembre 2009

la porcellana dalla Cina a Sesto Fiorentino


Le prime ceramiche con il corpo in argilla furono create in Cina sotto il regno della dinastia Sui (581-618 d.c.), poi perfezionate sotto i T'ang (618-907 d.c.). L'impasto era composto prevalentemente da caolino (da Ka-o-ling, 'alta collina', località della Cina presso King-ten-chen nel Kiang-Xi), argilla refrattaria non fusibile finissima, e di petuntse (da Pai-tun-tsu, 'piccoli mattoni' di quarzo bianco), un feldspato fusibile. Questi due materiali, dovutamente impastati e sottoposti ad una temperatura oscillante tra i 1250 ed i 1350° davano vita ad una materia bianca, traslucida e vetrificata. Questa veniva amalgamata con acqua, sali minerali, quarzo e sabbia cristallina fusa e polverizzata. L'impasto era mescolato a lungo con una pertica e pestato a piedi nudi, per poi venir lasciato a riposo per anni, addirittura per decenni, affinchè le impurità organiche avessero modo di decomporsi. Infine l'impsto era battuto per liberarne l'aria e poi foggiato a mano, con stampi o al tornio. i pezzi crudi venivano fatti seccare per un anno per essere poi finiti a cesello, rivestiti di una coperta trasparente a base di petunse, cenere di felce e calce, che dopo la cottura in fornaci a legna, paglia o carbone, conferiva all'oggetto lunimosità e lucentezza. In cottura si mettevano gli oggetti all'interno di cassette di argilla piene di sabbia refrattaria per evitare le macchi sul manufattto dovute alla cenere. Le prime porcellane arriarono in Europa lungo la via della seta, ma quantità più ingenti iniziarono ad essere importate dopo che Vasco de Gama nel 1498 aprì la via marinara. Qesto commercio stimolò gli orientali che appositamente crearono la prima produzione di porcellane decorate in monocromia blu dette yang k'i, o 'oggetti per lo straniero'. Erano accompagnati dal vasellame per la cerimonia del tè, fatti dai cinesi per i mercanti giapponesi o dalle ceramiche per con versetti coranici, distinata ai paesi islamici. Le importazioni sempre crescenti favorite dalla nascita Compagnia delle Indie occidentali, prima quella inglese, poi l'olandese di Canton provocò in Europa una vera e propria moda detta 'cineseria', che favori in Cina e Giappone un ulteriore sviluppo di porcellana creata su modelli europei. detta export-cina o chine de commande. Intanto in Europa ceramisti olandesi, italiani e francesi cercavano di riprodurla a prezzi inferiori per i meno abbienti. Nei primi del settecento gli alchimisti europei si 'gettarono' alla ricerca delle materie prime e della ricetta per l'impasto della fabbricazione della porcellana (che per questo prese il nome di 'arcanum'). Vari personaggi viaggiando per Europa si scambiavano informazioni fra cui il Barone Ehrenfried Walter von Tschirnhaus di Sassonia, che una volta individuati i materiali essenziali per la definizione dell'impasto ne studiò gli esatti punti di fusione, inarrivabili però nelle fornaci per la birra su cui lavorava. Anche Johan Friedrich Böttger, un alchimista che, scoperto da Federico Augusto di Prussia, che puntava alla produzione di porcellana per rimpinguare le casse statali, fu rinchiuso, perchè aveva millantato di riuscire ad ottenere oro con la sua pietra filosofale, a lavorare sotto la direzione di Tschirnahaus. Fu lui che, usando un caolino locale (di Coldtiz) riuscì ad ottenere una porcellana finalmente in tutto e per tutto simile a quella cinese, grazie ai forni pensati con materiali refrattari in gradi di resistere ad altissime temperature. Nacque così a Meissen nei pressi di Dresda la Fabbrica reale di Porcellana di Sassonia che costituì realmente il punto focale di una sorta di straordinaria diaspora che si diramò per l'Europa intera; furono sessant'anni circa di vera e propria epidemia culturale per cui soprattutto in Germania nessun principe sentiva gratificata la propria fisionomia di fasto aggiornato se non possedeva una piccola fabbrica di porcellane che provvedesse ai bisogni della corte. Si era formato intorno al Böttger, divenuto direttore delle fabbriche reali, uno stuolo di specialisti singolarmente propensi però a vendere le proprie limitate conoscenze ai regnanti che offrivano maggiori ricompense; tali"vendite" secondo una astuta e preveggente preacauzione voluta da Böttger stesso,erano però sempre limitate ad una sola fase del procedimento. Intorno al 1735 il "segreto" intorno alla porcellana per opera dello stesso Böttger si svelò: egli infatti lo confidò in preda i fumi dell'alcol al suo collaboratore, C.K.Hunger, smaltatore e pittore che unitosi ad un certo Stölzer conoscitore dei segreti della cottura si trasferì a Vienna dove immediatamente sorse la manifattura di Claudius Innocent Du Paquier. Ad Hunter è legata la sorte avventuriosa e di breve durata di una manifattura veneziana fondata dall'orafo Francesco Vezzi. Hunter infatti scontrandosi con Du Paquier venne a Venezia, non solo portando con sè i segreti della fabbricazione, ma riuscendo anche a far esportare dalla Sassonia il caolino necessario all'impasto ed anche un valente maestro di cottura, samuel Stölzen. La corte Sassone tuttavia riassunse Hunter e bloccò l'esportazione del caolino, la fortuna della fabbrica Vezzi ebbe presto fine. Fu in questo clima che nacque la Manifattura di Doccia. La fabbrica sestese fu una delle prime manifatture europee a produrre porcellane in un'epoca in cui la fabbricazione di porcellana, diffusa da secoli in estremo oriente, era in Europa ad uno stadio ancora quasi sperimentale. Proprio per questo il progetto del marchese Carlo Ginori, esponente di rilievo dell'aristocrazia toscana, di creare una manifattura di porcellane in un paese in cui gli abitanti erano da sempre dediti all'agricoltura, non fu di facile attuazione. Non era facile reperire le materie prime utili ad ottenere impasti e decorazioni di qualità; mancavano riferimenti produttivi e culturali. Fu quindi necessario ingaggiare pittori e tecnici stranieri e formare professionalmente come ceramisti alcuni contadini delle molte proprietà terriere dei Ginori. Oltre alle difficoltà tecniche la fabbrica di Doccia doveva affrontare problemi stilistici. Cosicché per consentire agli artisti che lavoravano nella manifattura di avere modelli iconografici a cui ispirarsi, Carlo Ginori acquistò calchi di opere d'arte, cammei, terrecotte, libri di storia dell'arte e di architettura, cere e bronzetti di Massimiliano Soldani Benzi e Giovan Battista Foggini, due scultori fiorentini tardo-barocchi di notevole valore.