martedì 28 dicembre 2010

Giuseppe Bezzuoli e la pittura a Firenze nell'800


Il freddo ha fatto le sue vittime e tra questa anche il mio computer che ho dovuto portare a "curare" dal dottore per dinsintossicarlo dai troppi virus arrivati tutti assieme! Scherzi a parte scusate la lunga assenza e continuiamo a parlare degli autori dei dipinti che abbelliscono le pareti della villa Paolina. Tra questi abbiamo ricordato Giuseppe Bezzuoli che il Manuale Tellus “Romanzo storico e pittura di storia” - arte per gli istituti tecnici ci spiega: "La pittura di storia, ampliò nell’Ottocento i propri orizzonti tematici e sperimentò nuove tecniche linguistiche che per le intrinseche possibilità comunicative le conferirono una grande popolarità. Ai mutamenti politici e sociali, che interessarono in maniera diversa i vecchi stati italiani corrispose una riorganizzazione dell’educazione artistica. Le Accademie conobbero una profonda trasformazione col prevalere del principio di affidare all’arte una dimensione civile e pertanto nelle Accademie nazionali di Milano, Bologna e Venezia venne esaltata la funzione della pittura di storia. La pittura di storia veniva commissionata grazie al sistema dei concorsi che soddisfaceva sia le aspirazioni degli artisti sia le attese del pubblico che poteva assistere alle esposizioni. La pittura di Storia italiana, a Milano, si mosse su un filone storico legato al Medioevo e come riconobbe lo stesso Mazzini, non riuscì, prima dell’Unità, ad avvicinarsi ai temi contemporanei. Nel Regno Lombardo-veneto, l’Accademia di Brera, a Milano, grazie ai pittori Sabatelli e Hayez, acquistò prestigio e fu di richiamo per molti artisti, poiché privilegiava la pittura di storia, libera da convenzioni neoclassiche. La proposta più interessante venne da Hayez che scelse un tema popolare come La Sete dei Crociati sotto Gerusalemme, legato alla tradizione epica, dal Tasso al Grossi, e al Melodramma: I Lombardi alla prima crociata con musiche di Giuseppe Verdi. La Cacciata del Barbarossa dell’Arienti, (1851), rispondeva alle nuove istanze retoriche di una pittura come manifesto politico che ormai subentrava con la sua gestualità e la sua foga cromatica a quella dinastica. Un genere storico-celebrativo, che suscitasse il consenso intorno alle memorie culturali del nostro paese si ebbe in Toscana dove il governo granducale, per il Congresso degli Scienziati Italiani del 1841, invece dei fasti del proprio casato preferì affrescare la Tribuna di Galileo alla Specola con i personaggi del progresso scientifico da Leonardo a Volta e ne affidò l’incarico a: Bezzuoli, Cianfanelli e Sabatelli. In Toscana, protagonista del rinnovamento fu Giuseppe Bezzuoli con la grande tela L’Ingresso di Carlo VIII a Firenze completata nel 1829 per il Granduca. Il tema consentì un’orchestrazione corale della scena, dove accanto al tradizionale eroe del quadro storico, comparivano il popolo, individuato nelle sue reazioni, e una serie di illustri fiorentini con cui il pittore rendeva omaggio alla patria e garantiva al pubblico una ricca informazione. Il quadro fu commissionato a Giuseppe Bezzuoli nel 1827 dal granduca Leopoldo II. E’ un quadro di meditazione storica per il popolo: Carlo VIII, sovrano francese entra in Firenze (1494) dalla porta S. Frediano con il suo seguito di guerrieri e dignitari, accompagnato dal cardinale Giuliano della Rovere( il futuro papa, Giulio II). In primo piano, a destra è rappresentato Gerolamo Savonarola mentre dice a Francesco Valori: “Si avvera la profezia, entra in Firenze l’Anticristo”; il personaggio dallo sguardo violento è Pier Capponi che pronuncia la famosa frase: “Voi suonerete le vostre trombe, noi suoneremo le nostre campane”, messo a tacere dal cancelliere di Firenze. Machiavelli (figura con i capelli corti) indica col pollice Carlo e vede avverarsi la sua idea politica: “Il fine giustifica i mezzi”. Davanti al re s’inchina il Gonfaloniere del Comune di Firenze. Il tema del quadro riprende in parte le “Istorie della città di Firenze” di Jacopo Nardi. “Venne il re con tutta la pompa per il borgo di San Friano…Seguitò poi la medesima pompa per il borgo di san Jacopo sopr’Arno, e passato il ponte Vecchio, per porta santa Maria e per Vacchereccia e per piazza, e dal palagio del Podestà e dietro a’ fondamenti di santa Maria del Fiore, si condusse alla maestra porta della detta chiesa, ove fu ricevuto dal clero”. Bezzuoli scelse questo tema per: richiamare alla mente dei suoi concittadini le conseguenze delle discordie civili; rappresentare i personaggi più illustri del tempo che ebbero un peso notevole nelle sorti della repubblica fiorentina; esprimere le passioni popolari e il sentimento di libertà; rappresentare la prepotenza di un conquistatore. Carlo domina la scena con alterezza. Con la destra che regge la lancia e la sinistra posata sull’elsa della spada, manifesta l’orgoglio della propria fortuna. Delicata è l’espressione del paggio, che conduce il reale destriero. Servile il Gonfaloniere mentre presenta al re uno dei Priori. Arrogante il re per l’accoglienza che gli riserva. Un cittadino addita i modi arroganti del re, un altro, coprendosi il viso, deplora la libertà perduta. Nello stesso anno in cui Bezzuoli terminava il quadro, Hayez dipingeva Pietro l’eremita, superando i canoni del Neoclassicismo per un’arte densa di contenuti civili. La pittura di Storia si sostituì alla Mitologia “a pingere le azioni generose de’ padri nostri, ad innalzare col loro esempio gli animi alla virtù. Sia lode ad Hayez che fra’ i primi sempre nei suoi dipinti presentò avvenimenti di storia” (L. Sabatelli). Il quadro è una metafora: bisogna guardarsi dai potenti per conservare la Libertà.

venerdì 26 novembre 2010

Antonio Carcopiano ed il più vecchio ponte sospeso in ferro sopravvissuto dal XIX secolo

"Il ponte sospeso di ferro del 19° secolo - Villa Borghese a Firenze (Italia)" che ha come autori Alberto Cecchi, Alessio Passerini e Daniele Salvestrini ci dice che tra il 1825 e il 1828, Antonio Carcopino, un ingegnere, ha progettato il ponte di ferro che collega la Villa Borghese al suo parco: questo fatto dimostra l'interesse della famiglia Borghese per le innovazioni tecnologiche del 18 e del 19° secolo.
Dall'introduzione del testo viene spiegato come il Principe Camillo Borghese sposò Paolina Bonaparte, la sorella di Napoleone. Dopo la morte dell'Imperatore, nel 1825 il Principe comprò una Villa a Quinto nella periferia di Firenze, che restaurò in stile neoclassico: Antonio Carcopiano, un ingegnere, studente dell'Accademia delle Belle Arti di Firenze, disegnò la villa ed il giardino tra il 1825 ed il 1828. I progetti sono conservati nei fogli 115-122 dell'Archivio Salviati, che attualmente è sotto la cura della Scuola Superiore di Pisa (Karwacka et al. 1993). Il giardino era sistemato sul lato opposto della strada rispetto alla villa: così Carcopiano costruì un ponte sospeso di ferro. In accordo con le conoscenze che abbiamo fino ad oggi, questo ponte è IL PIU' ANTICO PONTE SOSPESO IN FERRO SOPRAVVISSUTO DAL PERIODO, assime al più lungo (1826-1832) su fiume Garigliano (sfortunatamente distrutto durante la seconda guerra mondiale e solo recentemente ricostruito, il cui designer fu l'ingegnere Luigi Giura del "Corpo borbonico di ponti e strade". Senza dubbio ciò testimonia l'interesse della famiglia Bonaparte riguardo alle innovazioni tecniche seguenti al periodo dell'illuminismo.

domenica 21 novembre 2010

La vita di Paolina Borghese

Ecco cosa ne pensava di Paolina Borghese, Victor Hugo nel settimo capitolo de "l'origine del Can Can-ossia i delitti e le origie della famiglia Bonaparte": Paolina Bonaparte appena quattordicenne, cominciò a prostituirsi e continuò lungamente simile vita sotto gli occhi della madre sua; malgrado gli eccessi a cui abbandonavasi mantenne la freschezza delle sue carni, e conservò la bellezza del suo volto. Lo spirito era uno degli ornamenti di questa donna e possedeva il secreto di tenere allegra la più numerosa brigata. Dopo la morte del generale Leclerc tornò da S. Domingo; gli sfaccendati andavano in estasi alla vista della nuova Artemisia che accompagnava gli avanzi del di lei sposo. Ignoravano essi che in cambio del cadavere del generale, quel feretro, oggetto elle di lei cure pietose, conteneva i diamanti e le ricchezze rubate durante la spedizione; fu calcolato ascendesse a sette milioni la porzione toccatale nel saccheggio di S. Domingo. Innamorata di Cristoforo il Negro, luogotenente di Ognissanti, la nostra Messalina lo lasciava sovente estenuato di forze sul di lei letto voluttuoso. Non eravi chi ignorasse i suoi legami schifosamente incestuosi con l'imperatore; essa stessa non li negava. Napoleone quindi la dette in moglie a Borghese, principe rovinato, ed il principato di Guastalla fu il regalo di nozze". E la villa Paolina di Sesto Fiorentino avrebbe dovuto accogliere i due sposini ma sembra che la Paolina mai vi abbia neppure messo piede, o al limite che si sia limitata solo a farvi visita. Per par condicio riportiamo anche quello che dice Wikipedia di Maria Paola Bonaparte, conosciuta semplicemente come Paolina Bonaparte (Ajaccio, 20 ottobre 1780 – Villa Fabbricotti, 9 giugno 1825). Era figlia di Carlo Maria Bonaparte e di Letizia Ramolino. Sorella prediletta da Napoleone, lei stessa fu sempre molto affezionata al celebre fratello maggiore.
Donna di documentata bellezza e fascino, sposò nel 1797 il generale Victor Emanuel Leclerc, amico di Napoleone, di cui rimase vedova nel 1802. L'anno successivo, su richiesta del fratello Napoleone, sposò un personaggio la cui famiglia faceva parte dell'antica nobiltà romana, il principe Camillo Borghese, di cinque anni più anziano di lei.
Piuttosto irrequieta, amante dello sfarzo e della vita di corte, fece molto parlare di sé a causa del suo comportamento anticonformista, come ad esempio posare nuda, nel 1805, per essere immortalata da Antonio Canova nella celebre statua di Venere vincitrice.
Divenne duchessa di Guastalla nel 1806 e risiedette a Torino, città che non amò mai, ritenendola fredda e provinciale, in quanto il marito era stato nominato governatore dei dipartimenti francesi in Italia. Ebbe come damigella d'onore la coetanea Adele de Sellon, madre di Camillo Benso di Cavour, cui fu molto affezionata[2] e del cui figlio, futuro statista, fu madrina di battesimo.
Morì nel 1825 a causa di una malattia tropicale cronica contratta a Santo Domingo, dove aveva accompagnato il primo marito.

mercoledì 10 novembre 2010

alcune notizie su Camillo Borghese

Uno dei proprietari di Villa Paolina fu ovviamente Don Camillo Filippo Ludovico Borghese di cui traiamo una scheda da Wikipedia: nacque a Roma il 19 luglio 1775 e morì a Firenze il 9 maggio 1832. E' stato Principe di Sulmona e Rossano, Duca e Principe Guastalla fu un membro della famiglia Borghese, ed è meglio conosciuto per essere divenuto cognato di Napoleone I. Camillo Borghese nacque a Roma, figlio del Principe Marcantonio IV Borghese (1730-1800) e fratello di Francesco (1776-1839), Principe Aldobrandini, ed entrò al servizio francese nel 1796. Egli divenne secondo marito della sorella di Napoleone, Paolina Bonaparte nel 1803 (dopo la morte di Victor Emanuel Leclerc, primo marito di Paolina). Venne nominato principe di Francia nel 1804; successivamente divenne comandante della Guardia Imperiale nel 1805 e poco dopo colonnello (poi maggiore generale) e duca di Guastalla; nel 1809 divenne Comandante della 27ª e della 28ª Divisione dell'esercito francese.
Inizialmente appassionato (commissionò la famosa Venere con l'effige della moglie dal Canova), il matrimonio successivamente si concluse in un concubinaggio con numerose amanti che portarono i due amanti a stravaganti usanze quali quella di utilizzare schiavi africani come poggiapiedi. Ad ogni modo la coppia condusse vite separate ma non divorziò mai e Paolina convinse anzi il fratello a concedere a Camillo il governo del Piemonte nel 1808 (pare con le seguenti parole: "Camillo è un imbecille e nessuno lo sa meglio di me. Ma qui sta il punto, no? gli stiamo affidando il governo di un territorio... è perfetto!". Camillo ottenne anche la salvaguardia su un prigioniero di riguardo: papa Pio VII.
Napoleone lo forzò inoltre a vendere alla Francia 344 pezzi della Collezione Borghese, che Camillo arricchì nuovamente con nuovi pezzi provenienti dagli scavi in Egitto e con l'acquisto di altre opere. Camillo prestò inoltre notevole attenzione alla villa di famiglia a Porta Pinciana, dando nuova sede alla rinnovata collezione e facendo costruire una nuova entrata monumentale che dava su Piazza del Popolo, ancora oggi esistente.
Dopo la caduta di Napoleone, l'alleanza tra Camillo ed il governo francese si ruppe e lo mise in cattiva luce a Roma, a tal punto che fu costretto a recarsi a Firenze, anche per distanziarsi dalla moglie, evitando ad ogni modo il sequestro delle proprie terre (pratica usuale applicata da Pio VII al suo ritorno al soglio pontificio contro gli ex sostenitori del Bonaparte). Dopo 10 anni di matrimonio fallimentare, venne convinto dal Papa a riprendere con sè Paolina, che però morì dopo soli 3 mesi di cancro. Non avendo avuto figli, alla sua morte il suo patrimonio passò al fratello Francesco.
Onorificenze: Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine della Legion d'Onore

lunedì 1 novembre 2010

ecco chi era la famiglia Peruzzi

I Peruzzi, che una tradizione poco documentata vorrebbe discendenti dalla stirpe dei Della Pera ricordata da Dante nel XVI canto del "Paradiso", furono una delle più influenti famiglie della Repubblica fiorentina.
Discendenti da un Ubaldino di Peruzzo vissuto alla metà del XII secolo, nella seconda metà del Trecento si divisero in due rami i cui capostipiti erano Arnolfo e Filippo figli di Amideo. La discendenza del primogenito Arnolfo fu la più longeva, mentre quella derivante da Filippo si estinse alla metà del Settecento.
Di fede guelfa, accumularono una discreta fortuna esercitando il commercio di panni. Successivamente iscritti all'Arte del Cambio, investirono i proventi dell'attività mercantile in una "Compagnia" bancaria che in pochi anni divenne una delle più influenti in Europa con filiali nel Regno di Napoli, in Francia e in Inghilterra. Tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, potendo contare su un considerevole capitale, la società fu in grado di realizzare ingenti operazioni di prestito alla Corte di Roma, agli Ordini di S. Giovanni di Gerusalemme e di Rodi e, insieme alle compagnie dei Bardi e dei Frescobaldi, anche ad alcune case regnanti. Nel 1303 la famiglia concesse a Filippo il Bello re di Francia una significativa somma di denaro necessaria al sovrano per contrastare il potere temporale di Bonifacio VIII. L'intrinseca debolezza della compagnia, come del resto delle altre società italiane di prestatori, costrette a investire i propri capitali all'estero presso Paesi più floridi economicamente, fu evidente nella catastrofe bancaria che colpì nel quarto decennio del Trecento le compagnie dei Bardi e dei Peruzzi. Sconfitto nella campagna contro la Francia, Edoardo III d'Inghilterra non fu in grado di restituire l'ingente somma che le due compagnie avevano anticipato al re per sostenere le spese della guerra. L'insolvenza della corona inglese, alla quale il Comune fiorentino non poteva in alcun modo opporsi, fu tuttavia solo uno dei fattori che determinarono il tracollo finanziario delle due compagnie. Effetti non meno rilevanti ebbero la peste nera, la carestia che ne seguì e il finanziamento delle fallimentari guerre di Firenze contro Mastino Della Scala e la repubblica di Pisa. La cospicua ricchezza immobiliare accumulata permise tuttavia alla famiglia di fronteggiare, seppure con grosse difficoltà, la crisi economica che aveva colpito la compagnia.
L'appartenenza alle Arti Maggiori e il prestigio sociale garantirono ai Peruzzi una solida partecipazione alla vita politica della Repubblica: 10 furono tra i membri della famiglia i gonfalonieri, 54 i priori e numerosi gli ambasciatori presso il papa e i sovrani d'Europa.
Un ramo della famiglia discendente da Paolo di Francesco si stabilì in Francia modificando il proprio cognome in Perussis e ottenendo il titolo marchionale; si estinse nel 1907 con Rodolphe marquis de Perussis, intendente generale. La famiglia riuscì, grazie anche ad un'accorta politica matrimoniale, a mantenere inalterato il suo prestigio e la sua influenza politica anche sotto il Principato mediceo. Con l'avvento della dinastia lorenese ottenne, nel 1751, l'iscrizione al patriziato fiorentino. Nel 1783 Bindo Simone (1729-1794), cavaliere dell'ordine di S. Stefano, direttore dell'Ufficio del Sale e membro dell'Accademia della Crusca, sposò in seconde nozze Anna Maria Luigia di Averardo di Pietro Paolo de' Medici, ultima discendente del suo ramo. Nel 1739 Anna Maria Luisa de' Medici, sorella dell'ultimo granduca mediceo Giangastone, aveva dichiarato il fratello di Anna Maria Luigia, Pietro Paolo, quale suo erede più prossimo, con la clausola che in caso di estinzione della linea maschile l'eredità passasse alla discendenza femminile. Fu così che nel 1846 i Peruzzi vennero dichiarati eredi dell'Elettrice Palatina e nel 1895 furono autorizzati ad assumere il titolo di "marchesi de' Medici" e ad aggiungere al proprio stemma le sei palle medicee.
Personaggio di rilievo fu Ubaldino di Vincenzo Peruzzi (1822-1891) esponente tra i più autorevoli insieme a Bettino Ricasoli del partito dei moderati toscani. Membro del Parlamento toscano nel 1848, prese parte nel 1859 al Governo Provvisorio Toscano. Fu Ministro dei Lavori Pubblici dei governi Cavour e Ricasoli (1861-62) e Ministro degli Interni del governo Minghetti (1863-1864). Membro del Consiglio provinciale toscano dal 1865 alla morte, deputato del Parlamento e senatore dal 1890, fu sindaco di Firenze dal 1868 al 1878. La moglie Emilia Toscanelli fu animatrice di un importante salotto culturale frequentato assiduamente da intellettuali quali Edmondo De Amicis, Ruggero Bonghi, Giovan Battista Giorgini, Alfredo Baccarini, Marco Tabarrini, Leopoldo Galeotti, Adriano Mari, Isidoro del Lungo, Renato Fucini e Cesare Alfieri.

venerdì 8 ottobre 2010

Dalla villa Garbi alla Villa Paolina

Finita la piccola deviazione, che sicuramente "meritava", restando tuttavia nel dubbio che magari qualche approfondimento sulla cinquecentesca villa Garbi, di cui purtroppo si sa poco o nulla, ci sarebbe piaciuto farlo, ci apprestiamo a tornare sulla via di Castello decidendo di puntare con decisione alla Villa Paolina o Baldini-Doufur, si trova al numero 47. Wikipedia ci viene in aiuto: "Deve il suo nome a Paolina Bonaparte, per la quale venne costruita e che, forse, vi soggiornò con il marito. Anticamente apparteneva alla famiglia Petruzzi (o Petrucci), poi nel 1553 venne ceduta a Antonio Torrigiani, che possedeva altre ville nella zona. Nel 1659 fu acquistata da Benedetto Dragomanni e nel 1825 divenne di proprietà del Principe Camillo Borghese, che la fece ristrutture in onore di sua moglie Paolina. Oggi si presenta come una delle più interessanti ville in stile compiutamente neoclassico. I lavori di ammodernamento ebbero luogo tra il 1826 e il 1831 su progetto di Antonio Carcopino e decorazioni di Giuseppe Bezzuoli e Francesco Pozzi, mentre le statue e i bassorilievi allegorici della facciata furono scolpiti da Aristodemo Costoli. Attorno alla villa fu realizzato un vasto parco romantico all'inglese, secondo la moda dell'epoca, corredato anche da un giardino alla francese, con parterre, aiuole fiorite e conche con piante di agrumi. Tra le essenze arboree del parco ci sono cipressi, lecci e castagni. Il terreno boscoso sul retro, l'odierno parco piantato a cipressi e lecci, si trovava tagliato dalla strada di Castello e notevolemnete rialzato, per cui venne ideato un passaggio a "calvalcavia" con una passerella in ferro sospesa con un sistema di cavi, che unisce ancora oggi il bosco con il primo piano del retro dell'edificio. In questa parte si trovano una grotta artificiale, con concrezioni spugnose, un anfiteatro ed alcune statue in pietra serena. Lo stato attuale della villa e del parco è trascurato.

lunedì 4 ottobre 2010

l'importanza della tomba della Mula

L'interessante scritto di Claudio Pofferi dal titolo "Dai principi alla città etrusca sul Bisenzio" ci fa capire l'importanza dalla tomba della Mula che si trova proprio sotto la villa Garbi-Pecchioli. L'autore nel sul testo spiega infatti che è perfettamente semisferica e ha un diametro di oltre otto metri, fatto questo che la rende la tomba a tholos più grande tra quelle rinvenute in tutta l'Etruria e probabilmente la più antica, essendo ascrivibile a prima del VII secolo a.C. Sulle sue pareti infatti si evidenziano segna scaramantici e graffiti. In special modo questi ultimi, prevalentemente sinistrorsi come si usava nei periodi più antichi del periodo etrusco hanno evidenziato l'uso di ulcune lettere o locuzioni talmente arcaiche che già nei periodi successivi al VII secolo a.C. non si usavano già praticamente più. Oltretutto, come già nella tomba della Montagnola, sono state ritrovate le più antiche iscrizioni parietali etrusche conosciute, rafforzando l'idea che la Tomba della Mula sia la tomba etrusca più antica mai ritrovata, rendendo la nostra zona un'area privilegiatissima su cui svolgere indagini approfondite per svelare la misteriosa origine di questo popolo.

domenica 26 settembre 2010

Una piccola deviazione fino alla Tomba della Mula

Visto che siete degli sportivi e che come tali avete avuto voglia di scalare la salita della Castellina per andare a trovare delle "perle" di bellezza sestese non credo che sia giusto non ricordare che proprio di fronte all'ingresso della Chiesa di Quinto Alto una stretta strada in discesa porta ad un'altra tomba etrusca che purtroppo è privata e difficilmente visitabile: ecco comunque come la ricorda Wikipedia: "La Tomba della Mula si trova in via della Mula 2 in Sesto Fiorentino (FI). Si tratta di una tomba a thòlos (falsa cupola) risalente al VII secolo a.C., in un ottimo stato di conservazione. Il nome rievoca un'antica leggenda toscana, che riportava come nelle campagne attorno a Firenze fosse sepolta una mula d'oro massiccio: in effetti è un riflesso dei tesori del mondo etrusco e romano che talvolta venivano accidentalmente rinvenuti nel sottosuolo. È nota almeno dal XV secolo, quando venne incorporata nell'attuale Villa Garbi Pecchioli come cantina, modificandone il pavimento e demolendone una parte del dromos (la struttura di accesso). Presenta una copertura cupoliforme e misura circa 9 metri di diametro. A differenza della vicina e coeva tomba della Montagnola non presenta all'interno un pilastro di sostegno, ma le pareti si curvano sin dal livello del suolo per chiudersi in alto. La tecnica della tholos era conosciuta in tutta l'area del Mediterraneo orientale, come testimonia per esempio il celebre Tesoro di Atreo presso Micene in Grecia. Sebbene non raggiunga le dimensioni delle tombe micenee, si tratta di una della più grande "cupola" pre-romana conosciuta in area italica. Nei pressi sorge il parco di Villa Solaria, dove, nel 1820, fu ritrovata un'altra tomba, poi demolita per utilizzarne le rocce. Nel 1905 è stata dichiarata Monumento Nazionale".

domenica 19 settembre 2010

ancora sulla chiesa di Santa Maria a Quinto Alto e dell'oratorio di San Poteto

Grazie alle notizie della pubblicazione "I luoghi della fede" voluto dalla Pro Loco di Sesto Fiorentino siamo anche in grado di dare qualche notizia in più sulla chiesa di Santa Maria a Quinto e soprattutto sull'Oratorio di San Poteto che oggi versa in condizioni davvero critiche (un altro monumento meraviglioso di Sesto Fiorentino ormai caduto nel "dimenticatoio e destinato a fare una "brutta fine"): "Sulle estreme falde dei colli che formano la base meridionale ad est di Monte Morello, alla sinistra del torrente Zambra, nelle immediate vicinanze dell'ipogeo etrusco a tholos della Montagnola del VII secolo a.C. e non lontana dal convento dei frati Carmelitani della Castellina e sopra la strada che da Castello si collega con Via Fratelli Rosselli risiede la chiesa di Santa Maria a Quinto. Nell'anno 1013 il Vescovo Ildebrando donò al monastero di San Miniato a Monte sopra a Firenze un pezzo di terra posta nella corte di Quinto. I monaci, acquistato il giuspatronato della chiesa parrocchiale compreso sia i beni e le pertinenze, diventano i beneficiari e fondatori. Queste notizie sono confermate da una bolla del Pontefice Lucio III con data: Verona marzo 1184. La Chiesa di Quinto subì un pesante restauro nel 1770 a spese del popolo e per volere del parroco Domenico Cioni. Nella chiesa si trovano delle sepolture con le armi delle famiglie Dazzi e Strozzi ed è visibile anche il sepolcro dei Tognozzi Moreni. Fra le opere d'arte presenti nella chiesa è da ricordare un ciborio di marmo finemente scolpito del secolo XIV con lo stemma degli Aldobrandini di Piazza Madonna. Nella Sacrestia si trova una tavola di scuola giottesca che rappresenta un'Annunciazione, sopra la tavola è scritto che il committente dell'opera è "Maria Giovanna di Dino da' Grilli a rimedio suo e de' suoi". Di un certo interesse è una croce processionale di rame dorato della fine del secolo XIV. Separata dalla chiesa è la cappella della compagnia dove era conservato un trittico del secolo XIV (adesso è in restauro). Sopra al trittico sono dipinte la Vergine con il Bambino ed i Santi: Pietro, Filippo, Lorenzo e Jacopo e nelle cuspidi la figura dell'Eterno Padre che benedice e le figure dell'Annunciazione. In basso è riportata una scritta dove si legge che Filippo Bonzo fece dipingere questa tavola nel "MCCCLXXXXIII dì VII settembre per rimedio delamina sua e suoro". La compagnia fu in antico un oratorio dedicato a San Poteto".

martedì 14 settembre 2010

La chiesa di Santa Maria a Quinto

Per chi avesse avuto la voglia di compiere la digressione dal "Cammino di Pinocchio" consigliata nei post scorsi addesso è il momento di tornare indietro, di ripercorrere tutta la strada in discesa per arrivare di fronte alla Chiesa più importante del territorio. La chiesa di Santa Maria si trova a Quinto, nel comune di Sesto Fiorentino, in provincia di Firenze, diocesi della medesima città. Di fondazione romanica, fu radicalmente ristrutturata nel 1770 e ancora restaurata negli anni venti del Novecento. Alla chiesa appartengono due importanti dipinti non più conservati in loco, ma esposti a Firenze nel Museo Diocesano di Santo Stefano a Ponte: una tavola raffigurante una "Annunciazione" di sapore tardo gotico assegnata al cosiddetto Maestro della Madonna Strauss della fine del Trecento, e un trittico con la "Madonna in trono col Bambino e quattro santi" di Spinello Aretino che reca la data 1393.
Ecco cosa è scritto sulla chiesa sul Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele Repetti:
"QUINTO nel Val d'Arno sotto Firenze. Contrada deliziosa fra sesto e Castello, dalla quale ha preso il vocabolo la parrocchia di S. Maria a Quinto, nel piviere Comunità Giurisdizione e circa un miglio toscano a levante grecale di sesto Diocesi e Compartimento di Firenze. La chiesa di Quinto risiede sulle falde estreme dei colli che formano la base meridionale del monte Morello, alla sinistra del fosso Zambra e sopra la strada rotabile che staccasi dalla provinciale di Prato, al borgo sotto Quarto, la quale passando per castello, Quinto, Doccia e Colonnata ritorna sulla provinciale al di là del Borgo di Sesto. Nel distretto di Quinto fino dal secolo XI se non prima possedeva il capitolo della cattedrale di Firenze, mentre nel 1037 il Pontefice benedetto IX e quindi nel 1050 Leone IX, finalmente nel 28 dicembre 1076 Gregorio VII confermarono la Corte di Quinto a quei canonici, e fu nel principio del secolo stesso quando il Vescovo Ildebrando (anno 1013) donò al monastero da esso fondato in S. Miniato al Monte sopra Firenze un pezzo di terra posto nella corte di Quinto, dove più tardi quei monaci acquistarono il giuspadronato della chiesa parrocchiale compresi i suoi beni e pertinenze. La qual cosa apparisce anche meglio da una bolla del Pontefice Lucio III data in Verona nel marzo 1184.
a chiesa di Quinto fu rimodernata e abbellita nel 1770 a spese del popolo per le cure del suo parroco Domenico Cioni. Il distretto di Quinto va adorno di molte ville signorili, fra le quali primeggiarono quella Borghesi, già Torrigiani, la Mula del Dazi ora Gherardi, e sopra tutte la villa Torregiani, già Guidacci, che il Marchese Pietro Torrigiani ha di recente ricostruita quasi per intiero, adornandola di una magnifica ed elegante scala, nel tempo che va cingendola di vasti e ridenti praterie sostituiti a campi sativi coperti di alberi da frutto, e più che altro di ulivi, cui sottentrano piante di fiori e deliziosi boschetti praticabili per sinuosi viali.
La parrocchia di S. Maria a Quinto nel 1833 noverava 552 abitanti.
QUINTO nel Val d'Arno sotto Firenze. - Si aggiunga. - Fra i molti atti del secolo XIII relativi alla chiesa parrocchia di S. Maria a Quinto ne rammenterò uno del 4 giugno 1296, col quale un Manetto del fu Cambio di Andrea di Torrigiano del popolo di S. Maria a Quinto alienò al priore della chiesa di S. Maria Maggiore di Firenze un pezzo di terra posto nel popolo di Quinto, cui confinava da un lato Lapo del fu messer Brunellesco de' Brunelleschi. - (LAMI, Memor. Eccl. Flor. pag. 1023.). Anche in una membrana del 16 gennajo 1343 scritta nel popolo di S. Maria a Quinto, si legge, che Boccaccio del fu Ottaviano de' Brunelleschi del popolo di S. Leone di Firenze, avendo donato due giorni innanzi alla sua sorella (donna Tora) un pezzo di terra posto nel popolo di S. Maria a Quinto, nel giorno predetto. (16 gennajo) la stessa di lui sorella lo ricedè a Piccarda sua figliuola, (ARCH. DIPL. FIOR. Carte di S. Ornato in Polverosa).

a sommità del campanile di questa chiesa misurato dal Padre Generale Cavalier Giovanni Inghirami corrisponde a braccia 162,2 sopra il livello del mare Mediterraneo.

giovedì 9 settembre 2010

Le tombe di Palastreto

Per chi avesse deciso di fare la deviazione dal Cammino di Pinocchio da noi consigliata, speriamo ormai che la voglia di nuove scoperte non si sia definitivamente spenta in cima alla salita che porta al Conevento, perché gli appassionati potrebbero continuare ormai a salire per dare un'occhiata anche all'insediamento villanoviano di Palastreto: ecco come ne parla Wikipedia: "La Necropoli di Palastreto è una necropoli etrusca risalente all'VIII secolo a.C., nella zona di Quinto Fiorentino (Sesto Fiorentino, Firenze), presso Santa Lucia alla Castellina. La necropoli fu utilizzata da più villaggi etruschi della zona tra l'VIII e il VI secolo a.C. La fase più antica è testimoniata dalle sepolture a pozzetto, buche circolari ricavate nella roccia delimitate in alto da pietre disposte a cerchio per arginare la terra circostante. All'interno di queste buche venivano calate le urne con le ceneri dei defunti, spesso corredate da alcuni oggetti simbolici.
Sono stati scavati alcuni pozzetti "gemelli", separati solo da un sottile diaframma di pietra, forse destinati a individui legati da vincoli familiari. Le sepolture più grandi e tarde sono rivestite di roccia su tutta la superficie interna, ed una in particolare ha una notevole profondità, destinata a forse ospitare più di un'urna, ed una forma quadrangolare. Oggi le buche sono ricoperte, i materiali ritrovati si trovano a Firenze e a Sesto Fiorentino, mentre l'area è liberamente visitabile". Ma adesso che abbiamo visto praticamente tutto delle necropoli villanoviane-etrusche sorge spontanea la domanda che in tanto fanno finta di dimenticare: e dove'era l'acropoli. Alcuni sostengono a Poggio al Giro, altri tra Colonnata e Camporella. Fatto sta che il mistero resta ma che al solito non ci sono i finanziamenti per risolverlo. Speriamo che dalle colonne di questo blog non possano venire altri interventi e discussioni che possano sollevare la questione...

venerdì 3 settembre 2010

il centro spirituale italiano del Ciclismo ha la sede al convento della Castellina

Credo che sia giusto rendere nota la lettera di presentazione che è stata inviata al momento della nascita nel 2007 del CENTRO SPIRITUALE DEL CICLISMO che si trova presso il convento della Castellina:
"A TUTTE LE SOCIETA’ CICLISTICHE DELLA TOSCANA
Egregi Signori,
Permettete che ci presentiamo. Siamo un gruppo numeroso di laici, che frequentiamo il Convento di S. Lucia alla Castellina dove negli anni 70 la squadra ciclistica della Filotex, si trovava regolarmente per la presentazione alla stampa.
Oltre alla presentazione della “FILOTEX” leader nel mondo del ciclismo professionistico, abbiamo organizzato molte altre manifestazioni anche a livello dilettantistico, grazie al “carisma” di un sacerdote carmelitano, il nostro Padre Agostino Bartolini grande “amico” e confidente di Vincenzo Torriani e Adriano Rodoni e Adriano De Zan, i quali erano sempre presenti a queste manifestazioni. Questa passione per questo sport è rimasta nel nostro cuore, per vari anni Padre Agostino ha raccontato la propria esperienza ed ha trasmesso il desiderio di portare anche in questo ambiente sportivo la presenza di Dio che non possiamo racchiudere nelle mura di una chiesa. Così nel 2003 abbiamo organizzato una festa per tutti i campioni del ciclismo che hanno ruotato intorno alla Filotex e a tutto il ciclismo nazionale e internazionale, poi tre anni fa il premio “Coraggio e Avanti”, premiando il miglior neo professionista (Emanuele Sella, Enrico Gasparotto e Vincenzo Nibali) e l’anno
scorso un meeting dei direttori sportivi delle squadre professionistiche. Abbiamo formato un comitato e dietro l’attenta “regia” del grande amico Piero Pieroni, siamo entrati in contatto con varie autorità civili, sportive e religiose che ci hanno “premiato” con la loro partecipazione e abbiamo stretto i rapporti con la Federale ciclistica nella persona del Dott. Di Rocco Renato e con la lega professionisti nella persona del Dott. Alcide Cerato.
Da ciò è nata la richiesta di riconoscere la nostra Chiesa quale centro Spirituale e recentemente ed in data 10 maggio 2007 è arrivata la lettera della federazione Ciclistica che ci onora di essere riconosciuti quale CENTRO SPIRITUALE DEL CICLISMO.
Voi capite che Padre Agostino, visto gli anni che sono passati è anziano, ma accanto a se ha due giovani sacerdoti: Padre Raffaele Duranti (attualmente superiore del Convento) e Padre Agostino Gelli (figlio del noto titolare della Filotex Edo Gelli) che continuano a portare nel cuore la stessa passione per questo sport.
Tuttavia, proprio per il carisma di P. Agostino Bartolini il convento è meta giornalmente di visite di persone provenienti da ogni parte della Toscana per consigli, colloqui, benedizioni e altro, trovando sempre conforto e pace in questa oasi spirituale. Mediante questa lettera noi siamo qui per offrirvi la nostra disponibilità per assistenza spirituale alle vostre società, aiutare la crescita dei ragazzi, contribuire perché dietro all’atleta possa crescere una persona matura capace di testimoniare i valori umani, sociali e cristiani. Noi siamo alle prime esperienze, ma con tanta voglia di realizzare l’obiettivo per cui è nato questo centro, e attendiamo da voi in un clima di costruttivo dialogo suggerimenti, proposte per aiutare i giovani e il mondo del ciclismo a riscoprire e valorizzare i valori fondamentali della vita. Un pensiero particolare va a tutte le persone con incarichi di responsabilità nella squadra: presidente, manager, direttore sportivo, allenatore, massaggiatore... Aiutateci in questo cammino che vogliamo fare
insieme a tutti voi perché la vostra passione, il vostro impegno possa vedere i risultati importanti nello sport e nella vita. “Coraggio” ad andare “Avanti” perche’ questo sport sia sinonimo di intelligenza, di forza, di rispetto e di onesta’.
Vogliamo conoscerVi ed incontrarVi, sarete sempre i benvenuti al nostro convento, che si trova in una bellissima posizione panoramica di Firenze, abbiamo locali per incontri a vari livelli, e una comunità che si impegna nelle varie manifestazioni, perché tutto possa riuscire al meglio. Con sincera amicizia e stima.
La comunità Carmelitana e il Consiglio degli amici del ciclismo".
Tel e Fax 055 452244 www.castellinacentrospiritualeciclismo.it

giovedì 2 settembre 2010

Convento e chiesa di Santa Lucia alla Castellina

Per i più "coraggiosi", che hanno voglia di affrontare uan salita impervia pur di fare un piccola deviazione dal "cammino di Pinocchio" (e che mi sento di consigliare), ecco quello che dice wikipedia sulla struttura che si troveranno a vedere: "Il convento e la chiesa di Santa Lucia alla Castellina si trova sulla collina di Quinto Fiorentino, presso Sesto Fiorentino in provincia di Firenze, diocesi della medesima città. Il convento carmelitano, edificato agli inizi del XVI secolo e ristrutturato intorno al 1640; conserva un ricco patrimonio artistico. La chiesa del 1626-27 è un integro ed elegante esempio di barocco, ricca di affreschi, decorazioni, stucchi, ove si sono conservati anche i confessionali in noce intagliato (1712). L'opera di maggior rilievo è l' Assunta col Bambino e santi del Volterrano (1682). Altre opere notevoli sono I funerali di Sant'Alberto di Orazio Fidani (1645), la Flagellazione di Bartolomeo Salvestrini (1626), L'orazione nell'orto di Jacopo Vignali (1626), la Madonna del Rosario di Vincenzo Meucci (1731), i Santi Andrea Corsini e Maria Maddalena dei Pazzi con angeli (1749), e le figure dipinte ad affresco (1749) che circondano un bel Crocifisso ligneo".

mercoledì 1 settembre 2010

La castellina a Sesto Fiorentino

La villa Tognozzi Moreni fa anche da punto di riferimento per salire lungo Monte Morello per arrivare alla località "La Castellina", di cui ci sembra doveroso dare menzione per gli appassionati dei luoghi di Pinocchio, visto che gli studiosi asseriscono che se quasi sicuramente il Collodi faceva riferimento alla Fiera di Sesto per ambientare il suo Paese dei Balocchi, non sono pochi quelli che sostengono che fosse proprio l'altrettanto importante e famosa fiera che si svolgeva a La Castellina ad aver ispirato lo scrittore. Ecco quello che ci ricorda sulla località Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele Repetti: "CASTELLINA DI SESTO nel Val d'Arno fiorentino. Convento sopprresso di carmelitani con chiesa bellissima, tutta adorna di marmi (S. Lucia) nel popolo di S. Maria a Quinto, Comunità Giurisdizione e circa miglia toscane 1 e 1/2 a levante di Sesto, Diocesi Compartimento e miglia toscane 4 e 1/2 a maestrale di Firenze. Fu in origine una casa torrita o villa signorile che, a distinzione della vicina villa Reale di Castello, prese il diminutivo di Castellino o Castellina. - Era posseduta dal senatore fiorentino Gianni Boni quando fu donata ai carmelitani della congregazione di Mantova, che riedificarono nel secolo ultimo scorso chiesa e clausura. Il luogo è ricco di fonti perenni provenienti dalla Doccia che da Monte Morello porta una maggior copia di acque alla fabbrica delle porcellane del Ginori. È uno dei punti di vista più magnifici e più deliziosi per ammirare il popolatissimo bacino dell'Arno sotto Firenze, che è il vero Giardino della Toscana".

martedì 31 agosto 2010

la storia di Alessandro Moreni regio fonditore

ecco cosa si legge sulle "Notizie istoriche dei contorni di Firenze" di Domenico Moreni su Alessandro Moreni che per lungo tempo visse all'interno della villa Tognozzi-Moreni: "Un dotto nostro scrittore nel primo tomo dell'Almanacco d'economia per Granducato di Toscana a pag.91 dice su questo proposito quanto appresso: 'Ai tempi del Granduca Cosimo I era un segreto da pochissimo conosciuto, il vincer la durezza del porfido, e quasi a lui si attribuiva la notizia di lavorarlo. Ora è comune in Roma, ed il altri paesi d'Italia, tra' quali Firenze, dove il sig. Alessandro Moreni, Regio Fonditore, ne fa di bellissimi lavori a forza d'acqua. Son già parecchi anni, ch'egli inventò, e costruì, un'ingegnosa macchina, la quale collo stesso meccanismo fa in un medesimo tempo più operazioni, come tirare il fil di ferro, trapanar cannoni, vuotar mortai, ec. ed è posta alla sua villa di Quinto, luogo copioso d'acque. Ivi dunque sono stai lavorati quattro bellissimi vasi etruschi, due in porfido e due in granito egiziano rosso, alti ciascheduno un braccio e mezzo e larghi 11 soldi e di tre pezzi l'uno, all'eccezione di uno solo in porfido, ch'è di quattro; di più diverse tabacchiere, ed un calamaio con tutto il suo finimento, tirati all'ultima sottigliezza'".

lunedì 30 agosto 2010

la famiglia Salimbeni

Ecco quello che racconta Wikipedia della famiglia Salimbeni, con il curioso aneddoto della loro fortuna fatta come mercanti: "Agli inizi del Trecento Bartolino Salimbeni, membro di una delle più ricche e gloriose famiglie di Siena, decise di trasferirsi a Firenze per praticare il mestiere della mercatura (commercio e prestito di denaro). Essendo ancora vivo il ricordo della sconfitta fiorentina della Battaglia di Montaperti (1260) ed anche della sofferta cacciata dei ghibellini, i suoi discendenti pensarono bene di cambiare il cognome in Bartolini, omettendo lo scomodo gentilizio che ricordava una delle maggiori famiglie ghibelline di Siena. Si dedicarono con successo alla produzione ed al commercio della lana, arricchendosi fortemente. Nel 1432 Lorenzo Bartolini Salimbeni partecipò alla campagna di Lucca contro Milano e Siena ed al suo ritorno in città commissionò a Paolo Uccello il famoso trittico della Battaglia di San Romano (1438 circa), che qualche decennio dopo fu chiesto con insistenza ai suoi discendenti da Lorenzo il Magnifico, i quali finirono per venderglielo per farglielo appendere nella sua camera in palazzo Medici. Nel XV secolo poi il cognome verrà raddoppiato riprendendo anche l'antico nome dei Salimbeni. La scaltrezza nei commerci è uno dei capisaldi della famiglia, tanto che essa scelse come proprio motto Per non dormire, fatto che, secondo un aneddoto, è da ricondursi ad una vicenda durante la quale un Bartolini, mercante in una piazza europea, ingannò i mercanti rivali invitandoli a un banchetto ed offrendo loro pietanze soporifere, che gli permisero poi di accaparrarsi senza rivali una partita di merce particolarmente vantaggiosa. L'insegna familiare per questo riporta anche tre papaveri entro un anello. Il motto Per non dormire piacque a Gabriele D'Annunzio che lo volle fare suo. Giovanni Bartolini Salimbeni fu l'esponente della famiglia che, agli inizi del XVI secolo, volle dare lustro e prestigio alla sua casata facendosi costruire un grandioso palazzo, che si sarebbe andato ad aggiungere ai possedimenti del Palazzo di Valfonda ed al Palazzo Bartolini di via Porta Rossa. Davanti alla basilica di Santa Trinita (dove la famiglia aveva la cappella fatta affrescare da Lorenzo Monaco), Giovanni incarica così Baccio d'Agnolo di costruire il più bel palazzo mai edificicato a Firenze: Palazzo Bartolini Salimbeni. Baccio d'Agnolo sperimentò soluzioni architettoniche così innovative per Firenze (siamo negli anni 1520) da essere inizialmente molto aspramente criticate: sembrava un vero fiasco, tanto che alcune decorazioni furono tolte (e fu anche aggiunta la scritta sul portale Carpere promptius quam imitari, cioè "È più facile criticare che imitare"), ma alla fine si rivelò uno dei modelli più copiati per l'architettura residenziale dei secoli a venire. Nel Palazzo di Gualfonda poi i Bartolini Salimbeni possedevano uno dei più bei giardini privati di Firenze, a detta dei cronisti dell'epoca degno di una reggia, che fu però presto venduto dalla famiglia, già dopo la morte di Giovanni; oggi non ne rimane quasi nessuna traccia, dopo che il suo terreno è stato confiscato nell'Ottocento per costruire la Stazione Maria Antonia, poi la Stazione di Santa Maria Novella. Nei tempi del principato la famiglia godé di un periodo di relativa calma e stabilità economica. Ai primi del Settecento il condottiero Giovan Battista Bartolini Salimbeni ottenne per la sua casata il titolo di marchese dall'Imperatore Carlo VII. Il palazzo in Santa Trinita fu invece abitato dai discendenti dei Bartolini Salimbeni fino agli anni Trenta dell'Ottocento, prima di essere venduto".

giovedì 26 agosto 2010

La strada poderale all'interno della proprietà dei Tognozzi Moreni crocevia degli itinerari etruschi nel nostro territorio

Cogliamo l'occasione per ringraziare Grazia Ugolini che nel suo libro "testimonianze archeologiche a Sesto Fiorentino" ci permette di valutare compiutamente l'importanza dei possedienti della villa Tognozzi Moreni nel territorio sestese: "L'impianto viario in epoche antiche, doveva avere in pianura percorsi di collegamento che erano utilizzati soprattutto da pescatori, commercianti fluviali e pastori. A quota superiore erano tracciati percorsi di crinale secondario o di mezza costa: oltre ai percorsi di collegamento tra gli insediamenti. Probabile che uno dei tracciati più importanti collegava, da una parte, Poggio del Giro con le tombe monumentali della Mula e della Montagnola e dall'altra parte con le tombe comuni di Castellina – Palastreto, mantenendosi sempre in quota secondo un percorso di mezza costa il più agevole e rapido. Su alcuni documenti dei primi del 1900 è segnata una strada poderale nella proprietà Tognozzi - Moreni denominata "via dei morti" o "via del poggio" toponimi identificati con Poggio del Giro e Palastreto, come fulcro di zone sacre e cimiteriali. Il tracciato locale si allacciava, presumibilmente, ad un tracciato principale che attraversava il Ponte alle Volpi e proseguiva oltre, in due direzioni opposte: in un senso verso Fiesole e nell'altro verso l'abitato all'incrocio dei due fiumi il Marina ed il Bisenzio, per poi dividersi in due rami uno che andava verso Artimino e uno verso il Mugello per proseguire verso Marzabotto e Felsina".

giovedì 12 agosto 2010

La Villa Tognozzi Moreni

Proseguendo lungo l'itinerario del Cammino di Pinocchio, proprio di fronte alla villa Solaria, all'angolo con la strada che porta alla Castellina ecco che troviamo la Villa Tognozzi Moreni, che, come ci insegna la Dottoresa Beatrice Mazzanti, fu un possedimento cinquecentesco della famiglia fiorentina dei Bartolini Salimbeni anche se le sue origini sono sicuramente più antiche come dimostra la presenza di un corpo edilizio ben visibile, strutturato a forma di torre. La villa è celebre anche per essere stata la residenza di Alessandro Moreni, regio fonditore e per essere un luogo copioso d'acque che opportunamenti incanalate vennero utilizzate sin dal XVI secolo per la lavorazione di metalli e pietre dure. Ancor oggi si notano alcuni resti di queste canalizzazioni.

mercoledì 11 agosto 2010

Villa Solaria-Torrigiani come villa Garzoni

Per chi non avesse avuto modo di leggere la biografia di Carlo "Collodi" Lorenzini sicuramente non saprà che ha partecipato in "prima linea" alle guerre di indipendenza e che conseguentemente, una volta diventato giornalista-scrittore, ha continuato "a modo suo" a "combattere" per il Risorgimento italiano. Infatti Carlo Collodi decise di aderire alla Massoneria, mettendo a disposizione, per così dire, la sua penna a servizio dell'ideale che contribuì a dare una svolta alla costituzione dell'Italia. Lo stesso editore de Le avventure di Pinocchio era un massone, che incaricò lo stesso Collodi di educare ai principi della lealtà e della cescita moral le giovani menti dei più piccoli: in pratica il futuro dell'Italia. Ecco quindi che in chiave massonica il racconto di Pinocchio è in realtà un percorso catartico-iniziatico al diventare un perfetto massone. Il bimbo cattivo infatti, attraverso tutte le sue peripezie diventa un ragazzo buono: il gran Massone. E cosa c'entra con le ville in questione? Già abbiamo detto che probabilmente la villa Solaria era stata adattata dai Torrigiani a percorso massonico, come è ancor oggi il giardino Torrigiani in prossimità di Porta Romana a Firenze, anche se oggi non ne resta traccia e gli studi sull'argomento sono, con un eufemismo, allo stadio embrionale. Ma anche la villa Garzoni a Collodi, dove visse e nacque la madre di Carlo, prima di trasferirsi nelle proprietà dei Ginori, è un sicuro punto di riferimento massonico. In tanti sostengono che lo pseudonimo Collodi, Carlo se lo sia scelto, in primo luogo per rispetto alla madre, ma non si capirebbe il perchè dello sgarbo verso il padre e la sua città, Firenze, a cui è sempre stato tanto legato. Ecco allora che si è insinuato che il padre "vero", come del fratello Lorenzo, fosse in realtà lo stesso marchese Ginori, e che il padre del Collodi, cuoco presso la famiglia magnate della porcellana, fosse in realtà un personago di ripiego da sposare a cui era stata sottoposta la madre. Prova ne sarebbe che i due fratelli Lorenzini furono "sponsorizzati" nell'educazione e nella vita poi dallo stesso marchese, che giunse perfino a destinarli alla guida della sua fabbrica, e alla gestione del primo marketing aziendale italiano, con un libro di elogio alla maniattura commissionato al Collodi, in occasione di una esposizione intrnazionle. All morte del marchese la famiglia subì n vero e proprio tracollo finanziario, tanto che buona parte dei fratelli e sorelle del Collodi morirono di fame. Io propoendo invece per un'altra ipotesi: infatti fu nel 1859, a 33 anni esatti, esattemente gli anni di Cristo, che Lorenzini prese lo pseudonimo di Collodi, forse proprio in onore di quella villa Garzoni che egli amava perchè esempio massonico, al pari del colore dei capelli della fata, quel turchino da sempre colore "ufficiale" dei grembiuli massonici. Il parco ha il labirinto, prova indispensabile da superare nel percorso massonico. Anche le statue sono emblematiche: la pagana Pan accanto a quella di Flora simbolo della natura, quella di Apollo accanto a quella di Diana, cioè il Sole e la Luna, capisaldi alchemici, e perfino i cigni della vasca, presenti ancor oggi, sono il simbolo della trasformazione dei sogni in realtà. Questi sono solo alcuni spunti, spero proprio che qualcun altro mi aiuti in questa ricerca.

lunedì 9 agosto 2010

La cappella della villa Solaria

Lungo la strada del "Cammino di Pinocchio" sono anche interessantissime due "costruzioni" che fanno riferimento a due delle ville già prese in esame: le due cappelle gentilizie della Villa Mansi e della villa Solaria. Se della prima le notizie sono praticamente inesistenti e non ho ancora conosciuto nessuno capace di varcare la soglia di quella costruzione, della cappella invece della villa Solaria ci sono degli aggiornamenti decisamente sconcertanti per gli amanti di Sesto Fiorentino come noi. Infatti la cappella fa aprte degli accordi presi dall'amministrazione comunale con l'ente che gestisce la Villa Solaria, che ha già provveduto al suo restauro, che comprende anche altri ambienti della villa oggi non in uso, in ottica di un suo prossimo passaggio di gestione proprio al Comune. Ma ad oggi non sono ancora stati approntati i documenti necessari ed un altro pezzo di storia e di bellezza archiettonica sestese è ancora tenuto sottochiave e praticamente inaccessibile ai più studioso compresi. Restiamo in attesa di novità ed aggiornamenti che speriamo arrivino nel più breve tempo possibile in ottica di poter aggiornare in sensi positivo i "venticinque lettori" (di manzoniana memoria) del mio blog

lunedì 2 agosto 2010

Domizio Torrigiani e il Grande Oriente d'Italia

Appare evidente che lasciare un ambiente bellissimo come la villa Torrigiani non deve essere stato facile per i nobili fiorentini: solo un evento eccezionale potrebbe aver convinto i Torrigiani a vendere la loro villa fiorentina: ecco quindi che Wikipedia ci viene ancora una volta incontro raccontandoci la vita di Domizio Torrigiani (Lamporecchio, 19 gennaio 1876 – Lamporecchio, 31 agosto 1932, l'ultimo dei Torrigiani possessori della villa che ben presto divenne Solaria, quasi cancellando anche la memoria della famiglia fiorentina che più delle altre l'aveva resa importante e famosa. Domizio Torrigiani è stato un avvocato italiano e Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1919 al 1925. Torrigiani lega il suo nome ad uno dei periodi più difficili della storia della Massoneria italiana: fu eletto Gran Maestro del G.O.I. il 23 giugno 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale e poco prima dell'avvento del fascismo. Succedette nella carica ad Ernesto Nathan. Inizialmente i rapporti tra il G.O.I. di Torrigiani ed il regime fascista erano tutt'altro che conflittuali. Tuttavia con il passare degli anni il regime mutò atteggiamento. Nel 1923 fu stabilita l'incompatibilità dell’appartenenza contemporanea al Partito Nazionale Fascista ed alla Massoneria; nel 1925 il regime attua con maggiore decisione il proprio attacco contro la Massoneria italiana: vengono più volte distrutte varie sedi del G.O.I., viene occupato Palazzo Giustiniani, e a novembre entra in vigore la legge che sanziona con il licenziamento tutti gli impiegati pubblici che risultano affiliati a «società segrete». Torrigiani fu perciò obbligato dal decreto del 22 novembre 1925, a sciogliere tutte le logge massoniche. Già nel 1924 la Massoneria italiana era stata accusata di anteporre gli interessi stranieri a quelli italiani. Torrigiani rispose inviando direttamente a Benito Mussolini una protesta formale in rappresentanza del Grande Oriente d'Italia, nella quale lamentava le devastazioni fasciste ai danni delle logge massoniche, rivendicando al proprio Ordine il merito di propugnare idee di libertà, di giustizia, di indipendenza. Nell'aprile 1927 Torrigiani, di ritorno dalla Francia, viene arrestato principalmente per ragioni politiche. Inizialmente è tradotto presso il Carcere di Regina Coeli, successivamente è inviato al confino dapprima Lipari, poi a Ponza. Le misure di sicurezza adottate nei suoi confronti erano particolarmente dure e intense; prevedevano infatti vigilanza diurna e notturna con la scorta raddoppiata, pattuglie militari a vigilanza della sua abitazione ed un servizio di pattugliamento marino al fine di evitare qualsiasi tipo di fuga. Liberato solamente nell'aprile del 1932, si ritrova quasi cieco a causa delle sofferenze patite al confino. Trasferitosi nella sua casa toscana di Lamporecchio, muore il 31 agosto 1932.

lunedì 26 luglio 2010

La storia di Pietro Guadagni Torrigiani

Appare indubbio che tra i tanti che si susseguirono nel possesso della Villa Solaria certamente merita una menzione speciale Pietro Guadagni poi marchese Torrigiani (Firenze, 1773 – 1848). Era figlio secondogenito di Teresa Maria Torrigiani e di Giovanbattista Guadagni, fu insignito dallo zio cardinale Luigi Torrigiani dei beni della casata purché cambiasse il proprio cognome paterno per prendere quello della madre e continuare quello della dinastia dei Torrigiani, che aveva ricevuto il titolo di marchese solo due generazioni prima, e che già era a corto di eredi maschi che potessero tramandarlo. Pietro accettò di buon grado, anche perché difficilmente in quanto secondogenito avrebbe avuto l'occasione di avere una fortuna come quella ereditata dallo zio: terreni e fabbricati in tutta la Toscana, fattorie, sei ville (di Panna, di Galliano, di Castelfiorentino, di San Martino alla Palma, di Quinto Alto e di Camigliano) e tre palazzi a Firenze (Palazzo Bartolini Torrigiani, il Casino in via del Campuccio e il Palazzo Torrigiani in via Romana), per non contare i beni mobili, le raccolte d'arte e tutte le varie ricchezze in contanti e rendite. Ai primi dell'Ottocento ereditò anche dai Guadagni, con il passaggio nel suo patrimonio anche del Palazzo Del Nero, appartenuto a Ottavia Guadagni Del Nero, sua sorella e vedova del barone Cerbone Filippo del Nero. Aderì alla massoneria e fece realizzare il vasto Giardino Torrigiani, ricco di simbologie massoniche: uno per tutti il "torrino", vero e proprio esempio di "evoluzione massonica" con al basso le forme più spigolose, che si assottigliano salendo fino ad arrivare al cerchio, simbolo di perfezione. Fu suo erede il marchese Luigi Torrigiani. I molti che ancora oggi studiano la storia dei Torrigiani sono convinti che anche il giardino della Villa Solaria, oggi ovviamente profondamente modificato dai tanti che in oltre due secoli di possesso si sono succeduti, sia stato modificato dal Guadagni-Torrigiani in un giardino "massonico" al pari di quello fiorentino. Penso che sarebbe davvero interessante per degli esperti andare alla ricerca di quanto sia giunto a noi di questo "mistero" se non altro per supportare o negare le dicerie che fanno discutere noi poveri "non addetti ai lavori".

sabato 24 luglio 2010

La famiglia Torrigiani


La famiglia Torrigiani, originaria di Lamporecchio, giunse a Firenze nel sec. XIV. I suoi membri ottennero più volte il priorato e il gonfalonierato. Nel XV sec. fautori dei Medici, i Torrigiani furono ammessi nel Consiglio dei Duecento (1532). Da allora inizia la fortunata ascesa dei Torrigiani, dovuta in gran parte al commercio. Si imparentarono inoltre con le maggiori famiglie fiorentine: Luca di Raffaello (1520) sposò Maria Guicciardini e il figlio di lui, Raffaello, Lucrezia Capponi. Luca di Raffaello, per rinuncia del cardinale Luigi Capponi, fratello della sua avola paterna Lucrezia, ottenne nel 1645 la sede arcivescovile di Ravenna. Il fratello Carlo acquistò intorno al 1680 la baronia di Decimo, più tardi eretta in marchesato da papa Clemente XI (1719) in favore del figlio Giovan Vincenzo. Quest'ultimo, dal matrimonio con Teresa del barone Luigi Del Nero, ebbe tre figli: Carlo, la cui unica figlia, Teresa, andava in sposa a Giovani Battista Guadagni, Luca, che fu cavaliere di Malta e di S. Stefano e Luigi. Questi, divenuto cardinale nel 1753 e Segretario di Stato di Clemente XIII, alla sua morte (1777) chiamò, all'eredità e al nome Torrigiani, Pietro Guadagni (1773-1848), figlio di sua nipote Teresa; questi otteneva l'autorizzazione granducale ad assumere cognome e stemma Torrigiani nel 1795. Pietro si univa in matrimonio con Vittoria, figlia del marchese Nicolaio Santini di Lucca e di Teresa Minerbetti di Firenze, beneficiando in tal modo di entrambe le cospicue eredità che la moglie portava. Dalla loro unione nacquero tre figli: Enrichetta Timotea, che sposò nel 1819 Vincenzo Peruzzi, Luigi (1804-1869) e Carlo(1808-1865).Altri momenti importanti per la famiglia furono: il 1680 quando Carlo Torrigiani acquista la baronia di Decimo, che poi Clemente XI, nel 1719, erige in marchesato; 1751, 19 aprile: il marchese Luca Torrigiani ottiene l'ascrizione al patriziato di Firenze; 1907, 25 luglio: Raffaele Torrigiani assume, "maritali nomine", i titoli di principe di Scilla, duca di S. Cristina, conte di Nicotera, barone di Calanna e Crispano.
Immancabile poi mettere sul blog: quello che dice anche Wikipedia: i Torrigiani sono un'antica famiglia patrizia di Firenze. Originari di Lamporecchio dovevano essere fin dal medioevo proprietari di terreni, perché la loro primitiva attività a Firenze fu il commercio di vino. Una taverna dei Torrigiani si trovava in via dell'Ariento, presso San Lorenzo. Ai primi del Trecento Ciardo Torrigiani si diede al commercio internazionale e aprì un banco che si rivelò un ottimo investimento, ingrandendosi rapidamente e aprendo filiali anche all'estero, tra i quali quello di Norimberga era il crocevia di pregiati prodotti dalla Russia, quali soprattutto pelli e pellicce pregiate. Così da vinai l'attività familiare divenne quella di vaiai cioè di pelliciai, che seguì le sorti dell'amministrazione fiorentina, talvolta penalizzati da leggi contro il lusso. La famiglia collezionò cariche politiche nelle istituzioni della Repubblica (priori e gonfalonieri), e rimase tra le ricche famiglie fiorentine anche nel periodo del dominio mediceo e del successivo Granducato, senza essere troppo in prima fila politicamente, ma occupandosi dei propri affari familiari senza opporsi alla predominanza dei Medici. Il primo dei palazzi Torrigiani fu acquistato nel 1520 da Luca Torrigiani dai Bartolini-Salimbeni nel 1520 e si trova in via Porta Rossa, il cosiddetto Palazzo Bartolini Torrigiani. In quell'epoca furono diversi i Torrigiani che furono senatori, cavalieri dell'Ordine di Malta e dell'Ordine di Santo Stefano. La fortuna dei Torrigiani si può dire che crebbe lentamente ma costantemente, arrivando al picco nell'epoca lorenese, tra Sette e Ottocento. Nel 1768 Giovan Vincenzo Torrigiani ottenne da Papa Clemente XIII il titolo di marchese del feudo di Decimo acquistato dal padre Carlo Raffaello. Giovan Vincenzo, sposato con Teresa Del Nero, ebbe tre figli maschi e già al secondo passaggio generazionale si ebbe la difficoltà di trovare eredi per la casata: i primogenito aveva avuto sue figlie femmine, il secondogenito Luca, sposato a Settimia Capponi, nessun figlio e il terzogenito Luigi Torrigiani era diventato cardinale. Fu proprio il cardinale a decidere il da farsi, lasciando nel suo testamento i beni familiari e il titolo al secondogenito di sua nipote, Teresa Maria Torrigiani sposata a Giovanbattista Guadagni, purché egli rinunciasse al cognome paterno prendendo quello della madre: e fu così che Pietro Guadagni divenne il ricchissimo marchese Pietro Torrigiani. Facevano parte delle sue proprietà terreni e fabbricati in tutta la Toscana, fattorie, sei ville (di Panna, di Galliano, di Castelfiorentino, di San Martino alla Palma, di Quinto Alto e di Camigliano) e tre palazzi a Firenze: oltre a quello in via di Porta Rossa, il Casino in via del Campuccio, acquistato nel 1532, e il Palazzo Torrigiani in via Romana. Ai primi dell'Ottocento passò nei beni familiari anche il Palazzo Del Nero, per eredità di Ottavia Guadagni Del Nero, sorella di Pietro e vedova del barone Cerbone Filippo del Nero. Figlio di Pietro fu Luigi, che fu padre a sua volta di Pietro Torrigiani sindaco di Firenze durante l'epoca del Risanamento del centro cittadino.

domenica 11 luglio 2010

una leggenda sulla villa solaria

E' indubbio che il parco della Villa Solaria ha il suo nome indubbiamente legato a quello dei Torrigiani che per lungo tempo ne hanno anche avuto il possesso. In particolare forse non tutti ormasi si ricordano più di una vecchia "leggenda" che lega il suo nome anche alla vecchia e famosa "mula d'oro" che si diceva fosse stata scavata a Sesto Fiorentino. Un'alternativa a quandi ritengono che il nome della tomba etrusca de La Mula sia legata a questa leggenda in quanto, forse, una statua di una mula d'oro si dice fosse stata ritrovata all'interno della famosa tomba, racconta che la tomba "giusta" fosse in realtà quella rinvenuta all'interno del parco dei Torrigiani, e che con questa fossero rinvenuti anche tanti altri reperti etruschi che furono prontamente rivenduti dai Torrigiani. Infatti il grande salto della famiglia come una delle più potenti di Firenze avvenne proprio in corrispondenza con l'acquisto della villa, e fu tale che in molti non riuscirono a spiegarselo altrimenti che non con l'arrivo di finanziamenti extra-commerci che la famiglia aveva avuto fino ad allora. In particolare si ritiene che furono gli stessi Torrigiani nel tempo a smembrare la stessa tomba per vendere ad una ad una delle vere pietre "etrusche" che in tanti comprarono a peso d'oro. Spero proprio che questo racconto susciti la voglia anche in altri di dire la loro. Resto in attesa dei commenti...

sabato 3 luglio 2010

La Villa Solaria-Torrigiani

Il lungo elenco di ville che si incontrano lungo il Percorso di Pinocchio sembra interminabile, ma sicuramente una delle più interessanti è la Villa Solaria-Torrigiani. Ecco come wikipedia ci descrive la nobile costruzione: fu edificata nel XV secolo per la famiglia Guidacci, la quale ne cedette la proprietà nel 1474 a Francesco Boninsegni: il primo di una serie di ripetuti cambi di proprietario finché nella seconda metà del XVII secolo pervenne alla famiglia Torrigiani, che trasformarono l'edificio in una residenza estiva (inizio del XIX secolo). In seguito la villa venne trasformata, tra il 1923 e il 1939in casa di cura, costruendo anche una nuova ala attrezzata per le esigenze ospedaliere. Ulteriori rimaneggiamenti si ebbero nel 1950, quando la villa cambio nome in Villa Solaria, entrando però di lì a poco in un periodo di lento declino. Solo nel 1982 il Comune di sesto si interessò all'acquisto della proprietà, in particolare dell'ala più recente (che fu destinata a day hospital per anziani) e il parco, che venne aperto al pubblico. La villa è caratterizzata da un doppio ordine di finestre appoggiate su mensole sui lati esterni, con uno scalone in pietra a doppia rampa al piano terra. Il parco conta circa sei ettari di estensione e risale al XIX secolo: tra grandi prati a livelli diversi seguono l'andamento del suolo, con boschetti divisori che creano scenografie e gradevoli scorci prospettici. Alcuni viali attraversano la'rea verde, delimitati da cordonati in pietra e diretti verso alcuni punti particolari: rotonde, punti di sosta e di gioco, zone appartate. La flora del parco è diversificata e influenzata dalla storia degli antichi proprietari, sebbene il patrimonio aroboreo si sia notevolemnte ridotto rispetto all'epoca di maggior splendore. Tra gli esemplari più notevoli per età e dimesnioni si contano cipressi, aceri, cedri, ippocastani, pini, querce, sequoie, tassi, tigli, pioppi bianchi e ginkgo biloba.

martedì 29 giugno 2010

La villa Manfredi Strozzi

Forse non tutti lo sanno, ma da sempre la Tomba della Montagnola, come quella della Mula usata come cantina, è stata "sfruttata" per un altro "uso". Infatti la tomba era all'interno di un parco di una delle tante ville di Sesto Fiorentino: quello della villa Manfredi Strozzi, della cui storia, ovviamente dai libri di storia si sa poco o niente. Ricoperta praticamente da sempre di terra e detriti sino a mimetizzarsi completamente con i pendii circostanti, tanto che fin dal '600 si iniziò a chiamarla con il nome di "Montagnola", la tomba era sfruttata come e vero e proprio "belvedere" collegato al parco ed al giardino della vicina residenza degli Strozzi, e poi dei Manfredi. La villa è stata costruita nella forme attuali nella metà del XVII secolo, con delle dimensioni decisamente imponenti, unitamente alla piccola cappella gentilizia che le sta accanto.

mercoledì 23 giugno 2010

Il link al sito di Pinocchioworld dell'expo di Shangai

Visto l'interesse suscitato dal mio ultimo post sul Pinocchio all'Expo 2010 di Shangai pubblido il link alla manifestazione in modo che chi vuole può saperne di più delle manifestazioni nel Padiglione Italiano legate al grande burattino. Aspetto ovviamente i vostri commenti sul nuovo piatto di Pinocchio proposto in edizione limitata e numerata dalla Richard-Ginori!!! http://www.pinocchioworld.it/public/documenti/Presentazione%20pinocchioworld.pdf

martedì 22 giugno 2010

Pinocchio rinasce grazie alla Richard-Ginori

E' solo grazie ad un articolo apparso su Metropoli Day che si è venuti a sapere che la Richard-Ginori 1735 ha prodotto trecentosettanta piatti in edizione limitata e numerata aventi come soggetto l'intramontabile Pinocchio e li ha portati all'Expo Universale di Shangai 2010 che si terrà fino al prossimo ottobre. Nel padiglione italiano dal I al 20 luglio ci sarà il "Laboratorio di Pinocchio", pensato in collaborazione con l Commissariato Genarale del Governo per l'Esposizione Universale e con il patrocinio della Fondazione Collodi. Il presidente del progetto Pinocchio World sarà Monica Baldi, come project manager Carlo Anzillotti, e come art director l'architetto Cristina Benedettini e tra gli sponsor principali ci sarà proprio la Richard-Ginori. Il tema sul piatto "Pinocchio che incontra il Gatto e la Volpe" è ideato dal designer dell'azienda sestese Francesco Taviani e trae spunto da un decoro degli anni trenta, uno dei tanti prodotti dalla manifattura sestese sul tema del burattino collodiano. Il più famoso tra questi è indubbiamente quello di Cassinelli. Uno dei primi piatti "speciali" marchiati Richard-Ginori è stato consegnato al Presidente della Camera Gianfranco Fini, mentre gli altri faranno da souvenir ad una cena a Shangai del prossimo 3 luglio che avrà 200 invitati. Durante la cena saranno presentate in un video dal tema "Magia di Pinocchioland" le aziende italiane che partecipano al progetto.

domenica 20 giugno 2010

inizia fase due della riapertura dell'ex manifattura di Doccia

Nell'ottica del nostro sito di seguire tutte le novità che riguardano le "tappe" del Cammino di Pinocchio credo sia importante rendere noto il più possibile il comunicato stampa dell'Amministrazione comunale sull'ex manifattura di Doccia:

BIBLIOTECA, SCATTA LA “FASE DUE” DEI LAVORI PER IL TRASFERIMENTO NELLA VILLA DI DOCCIA
Da lunedì 21 giugno chiuse le sale per la consultazione

Proseguono i lavori per il trasferimento dell’imponente patrimonio librario della biblioteca pubblica “Ernesto Ragionieri” nei nuovi locali della Villa di Doccia. Da lunedì 21 giugno saranno chiuse le sale consultazione al primo piano dell’attuale sede di via Fratti per permettere il completamento del trasloco degli oltre 100.000 volumi, fondi speciali, riviste e materiale multimediale. Nella saletta conferenze al piano terra e nel giardino della biblioteca saranno allestiti spazi provvisori per lo studio, mentre al primo piano rimarranno aperte e fruibili le salette riservate alla lettura dei quotidiani e delle riviste e la mediateca per l’uso della connessione gratuita a internet. Gli orari estivi della biblioteca sono stati suddivisi in tre fasi: dal 21 giugno al 31 luglio gli spazi saranno aperti dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19 (fino al 9 luglio anche dalle 21 alle 23,30), il sabato dalle 9 alle 13 e la domenica dalle 10 alle 12; dall’1 al 15 agosto la biblioteca effettuerà la consueta chiusura estiva, mentre dal 16 agosto al 4 settembre sarà aperta con orario ridotto dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 (sabato e domenica chiuso).
La nuova sede della biblioteca pubblica di Sesto Fiorentino, concepita con criteri moderni e completamente rinnovata nell’organizzazione degli spazi e nell’offerta dei servizi, nascerà nei prossimi mesi all’interno di un Polo culturale polivalente nei locali della Villa di Doccia, il luogo che per circa due secoli ha ospitato la Manifattura di ceramiche Ginori.

giovedì 17 giugno 2010

Un successo per Ville e giardini




Per quelli come noi che amano la Microstoria locale ma la vivono da semplici cronisti, non addetti ai lavori, quasi come topi di biblioteca, la manifestazione "per ville e giardini" di ieri 16 giugno è stata veramente memorabile e non solo perchè è stata l'ennesima dimostrazione che il "Cammino di Pinocchio" "colpisce" l'immaginario collettivo (infatti le ville aperte Corsini-Petraia-Reale, la tomba etrusca della Montagnola ed il Museo Richard-Ginori fanno tutti parte delle tappe del Cammino a cui si aggiungono quelle che andremo a fare sabato prossimo con l'Associazione Regola D'arte - Villa Bel Riposo-Case del Popolo-chiesa di san Michele-Via della querciola ecc.ecc.), ma perchè finalmente tutto quello che abbiamo visto sui libro, ce lo siamo trovati lì di fronte, dal vivo. E ci riferiamo non solo al Cippo di Settimello o a quello della Querciola, ma anche ai corredi della tomba della Mula, al Pilastro della Montagnola, oltre che ad altri splendori più facilmente accessibili come la Pietà di Soldani Bensi al Museo Ginori al teatro sabaudo della villa Petraia, o alle limonaie di Villa Reale. Adesso c'è tempo fino a settembre per goderne appieno prima dell'ennesima attesa novità della riapertura dell'ex Manifattura di Doccia. Poi il "gioco" sarà completo: praticamente tutto l'itinerario di Pinocchio sarà a disposizione di tutti e spero proprio che per quei giorni sarà pronta anche la Guida che la Nuova Toscana Editrice ha promesso di dare alle stampe.

domenica 13 giugno 2010

hanno preso il via i cammini pinocchieschi di regola d'arte




L'associazione A Regola d'arte ha tenuto a battesimo il loro primo itinerario pinocchiesco con destinazione parco di Villa Ginori e Parco di Villa Gerini, rispettivamente il Paese dei Barbagianni e il Campo di Miracoli, passando per via Giotto, il luogo dove c'era l'Osteria del Gambero Rosso. Una decina di presenti al debutto, funestato da uno scroscio di pioggia iniziale. Per fortuna il tempo si è rimesso e i parteciapanti hanno goduto appieno delle vista di due dei più bei parchi privati della zona, con aperitivo finale, a soli 15 euro. Si replica poi sabato 3 luglio.
Il percorso che prevede invece la parte di Castello prenderà il via il prossimo sabato 19 e sarà replicato anche il 4 luglio, al costo di 7 euro. Per prenotazioni ed informazioni cell. 3392355334.
Non c'è che dire: dopo le associazioni sportive anche gli enti privati iniziano a credere nella bontà del progetto. Il dado è ormai tratto

giovedì 10 giugno 2010

Considerazioni su Pinocchio e sui due post precedenti

Credo che spostarsi un attimo da quello che è l'obiettivo di qusto blog e cioè cercare di appassionare i lettori al mondo di Pinocchio a Sesto e di conseguenza presentare tutto quello che ruota attorno al Percorso di Pinocchio sia quanto meno obbligatorio dopo la pubblicazione degli ultimi due post. Infatti se precedentemente io stesso in prima persona mi sono mosso per dare il via alle prime quattro edizioni del percorso, noto con vero piacere che anche altri, come l'Associazione Regola d'arte, o il gruppo trekking Oltre la città stanno seguendo l'esempio, e io al limite posso fare da semplice consulente. Segno che il progetto, come il burattino, è ormai pronto per camminare con le proprie gambe. Peccato solo che siano solo i privati o le associazioni a muoversi in prima persona credendoci e che invece i canali "ufficiali" siano quanto meno restii a muoversi in tal senso e a dare il giusto riconoscimento. In particolare l'esempio viene dato dall'inaugurazione della tomba della Montagnola: Nessun accenno sul programma sul burattino ma chi era presente al Percorso di Pinocchio sa che le tappe Villa Corsini-Villa Petraia-Villa Reale-Tomba Montagnola-Museo di Doccia (a cui tra qualche mese si potrà certamente aggiungere anche la rinnovata ex Manifattura di Doccia e magari anche Villa Gerini o Villa Ginori, che sono le location dove si sta muovendo l'associazione Regola d'arte), sono l'asse portante del percorso stesso. Basterebbe "giocare" su questo per dare il via ad un vero e proprio flusso turistico, che porterebbe nuova linfa vitale, anche economica alla zona di Castello, Sesto e Peretola. Questo è il mio pensiero ormai noto a tutti visto che è anche scritto nella mia prefazione alla ristampa di "Pinocchio in casa sua" di Nicola Rilli. Per me questo sembra assolutamente lapalissiano ma avrei davvero piacere iniziare ad avere una discussione su blog sull'argomento. Probabilmente potrei anche cambiare il mio punto di vista...

lunedì 7 giugno 2010

itinerari pinocchieschi anche con l'Associazione Regola d'Arte

L’Associazione culturale Regola d’arte invita quelli che amano Pinocchio e i luoghi che ne hanno ispirato il testo a precorrere due itinerari nella zona di Castello e Sesto Fiorentino. “L’autore l’ha scritto qui – ci spiega una delle coordinatrici, Ilaria Masi - e proprio da questi luoghi ha tratto alcune delle parti più suggestive del testo. La proposta è quindi di scoprire da cosa e da chi Collodi è rimasto così affascinato da trasporlo nella storia”. “E provare – continua Rina Traina, altra coordinatrice dell'associazione - così anche a confrontare l’immagine che ne abbiamo con quella che viene dalla natura della Piana fiorentina”. “Ci sono libri – chiosa Violetta Farina, una delle fondatrici - che si conoscono anche senza averli letti, che fanno parte della cultura di tutti, e che hanno prodotto immaginario personale e collettivo”. Pensati per adulti e bambini (che parteciperanno gratis), il primo itinerario sarà il 13 giugno e 3 luglio, alle 17.30 con “Pinocchio in villa - Itinerario animato con aperitivo”. Appuntamento al Campo de’ Miracoli, in via XX settembre 259 al cartello “Sulle tracce di Pinocchio”. L’aperitivo sarà servito dal ristorante Aqaba al costo di 15 €. Il secondo tragitto sarà il 19 giugno e 4 luglio, alle 17.30 con “Castello di Pinocchio - Itinerario animato”. Si parte dalla scuola di Pinocchio in via Giulio Bechi, angolo via Giuliani a Firenze dal cartello “Sulle tracce di Pinocchio” al costo di 7 €. Per prenotazioni e informazioni: 333.3833673 o 347.0057608, e-mail a posta@regoladarte.info.

sabato 5 giugno 2010

RIAPRE LA TOMBA DELLA MONTAGNOLA

Mi sembra doveroso mettere in rete quello che il sito di Archeologia toscana ha già reso noto per la contentezza di quanti vedono nella cultura a Sesto un evento imperidibile.

Andrea Barducci Presidente della Provincia di Firenze
con Michele Gremigni Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze
e
Cristina Acidini Soprintendente per il Polo Museale Fiorentino
Fulvia Lo Schiavo Soprintendente per i Beni Archeologici della Toscana
Enrico Rossi Presidente della Regione Toscana
Matteo Renzi Sindaco del Comune di Firenze
Gianni Gianassi Sindaco del Comune di Sesto Fiorentino
Sono lieti di invitare alla inaugurazione di

PER VILLE E PER GIARDINI

Sorprese d’arte e archeologia alle porte di Firenze

Mercoledì 16 giugno

ore 18:00

Villa Corsini a Castello, Firenze

Il 16 giugno, nell’ambito del progetto Piccoli Grandi Musei, patrocinato dall’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, si inaugura a Villa Corsini a Castello (Firenze) un itinerario che comprende, oltre alla Villa stessa e al giardino della Villa di Castello, la Villa della Petraia, Palazzo Medici Riccardi e poi la Montagnola e il Museo Richard Ginori di Sesto Fiorentino.

Il percorso di visita all’interno delle sale restaurate di Villa Corsini prevede un’ampia sezione dedicata agli importanti ritrovamenti etruschi di età orientalizzante che hanno permesso di inquadrare storicamente lo sviluppo degli insediamenti etruschi nel territorio della piana. I reperti di età etrusca saranno esposti fino al 17 novembre 2010, ma questa occasione ha permesso di dotare Villa Corsini di un proprio rinnovato museale, che comprende sarcofagi etruschi, epigrafi latine e statue in marmo di età romana.

Programma dell’inaugurazione

ore 18:00 presso Villa Corsini a Castello, Firenze

La Villa e l’Antiquarium ritrovato

a cura di Fabrizio Paolucci, Antonella Romualdi e G. Carlotta Cianferoni

dalle ore 18:30 presso Villa della Petraia, Firenze

Preziosi tesori in villa

a cura di Mirella Branca

nel Giardino della Villa di Castello, Firenze

Un percorso tra gli agrumi

a cura di Stefano Casciu e Paolo Galeotti

ore 19:00 presso la tomba etrusca La Montagnola a Sesto Fiorentino

La riscoperta degli Etruschi

a cura di G. Carlotta Cianferoni e Gabriella Poggesi

ore 20:00 presso il Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia, Sesto Fiorentino

Omaggio a Venere

a cura di Rita Balleri e Oliva Rucellai

Cocktail di fine inaugurazione

Tutti i luoghi chiudono alle ore 21:00

Una navetta collegherà, a partire dalle ore 17:15, il parcheggio della stazione ferroviaria di Castello a Villa Corsini e viceversa.

Dalle ore 18:15 in poi la navetta collegherà il parcheggio a La Montagnola e al Museo Richard Ginori della Manifattura di Doccia, andata e ritorno.

La navetta è riservata a chi avrà prenotato, fino a esaurimento posti;

le prenotazioni vanno confermate entro lunedì 14 giugno 2010 allo 055 2340742. prenotazioni@cscsigma.it

Il Palazzo Medici Riccardi è inserito nel progetto e sarà visitabile con lo speciale coupon PGM 2010 dal 17 giugno 2010.

giovedì 13 maggio 2010

I graffiti presenti sulla tomba della Montagnola

E' decisamente importante sapere che nella tomba della Montagnola sono anche stati ritrovati dei graffiti "integrati" da simboli floro-faunistici. In particolare sulle ante delle celle: su quella di sinistra si distingue distingue anche un profilo geometrico di un cavallo, mentre su quella di destra la protome disegnativa di un cinghiale, in altre parole, una stilizzazione della parte anteriore del noto animale. Con questo anche un albero stilizzato al massimo, uniti a delle lettere dell'alfabeto etrusco. In altra parte si riconoscono lettere puniche che purtoppo ad oggi sono state fin troppo poco studiate. E visto che ormai l'apertura della tomba si sta approssimando sempre più è proprio su questi graffiti, i più sottoposti al degrado esterno che si concentrano le maggiori aspettative rigurdandi lo stato di conservazione della tomba restaurata. Vedremo...

martedì 11 maggio 2010

Il ritrovamento di una nuova tomba etrusca


I lavori intorno alla zona archeologica hanno peraltro consentito il ritrovamento di una nuova tomba a camera di poco successiva alla Montagnola, che risale al VII secolo a.c.. "Si tratta di un monumento più piccolo, largo circa due metri per due - ha spiegato Cianferoni - collocato probabilmente a protezione del dromos della tomba principale". Secondo la vicesoprintendente, "con questa scoperta e con la presenza assai probabile di altre piccole tombe simili nell'area, il complesso può essere definito a tutti gli effetti una piccola necropoli". Il progetto di salvaguardia, consolidamento e restauro della tomba della Montagnola, straordinario esemplare dell'architettura funeraria etrusca, è costato complessivamente circa sette milioni di euro, interamente finanziati da Tav nell'ambito degli accordi per il tratto fiorentino dell'Alta Velocità ferroviaria. Attualmente sono in via di ultimazione gli interventi di restauro e conservazione dell'apparato murario interno. All'esterno è stata rimossa in una prima fase la vegetazione presente sul tumulo ed è stato posizionato un manto drenante allo scopo di ripristinare il giusto grado di umidità del terreno e degli ambienti interni. Per far apprezzare ai visitatori l'area monumentale nella sua interezza, saranno realizzati percorsi semianulari lungo la circonferenza del tumulo e una scala esterna nell'area a nord-ovest, dalla quale si potrà superare il dislivello esistente e accedere all'interno della tomba. L'intervento sarà infine completato con la posa di un nuovo manto erboso che ricreerà l'originaria centralità visiva e prospettica del tumulo.

domenica 9 maggio 2010

La scoperta della tomba etrusca della Montagnola


Credo sia importante ricordare il momento della scoperta della tomba traendolo dallo scritto "Tomba Etrusca della Montagnola" di Marcello Mannini e Frido Chiostri, due degli scopritori. "Alla profondità di sette metri e a dodici metri di distanza dal centro della collina, ecco apparire sotto lo strato di argilla compatta un ammasso di grosse pietre di alberese e terriccio, e i primi frammenti di metallo corrosi dall'ossidazione. Erano i primi elementi dopo mesi di lavoro, a convalidare la certezza della natura artificiale del tumulo e testimonianza certa di come l'uomo avesse operato per elevare questo eccezionale riporto di terra e sassi. A questi primi frammenti si aggiunsero lamine di rame, di osso e di oro, insieme a resti di piccoli vasetti in cotto, evidentemente collocati, come poi risultò, al margine esterno di una delle camere sepolcrali che componevano la costruzione sotterranea. Forzando infatti alcune grosse pietre che apparivano alla vista, fu possibile penetrare la mattina del 24 giugno 1959, nell'interno dell'ipogeo costituito da tre camere dispostea forma di croce, le cui caratteristiche, nonostante la terra che occupava quasi metà dell'altezza degli ambienti, indicavano già il valore della scoperta in quantociò che si vedeva rivaleggiava e superava in importanza con le più grandiose costruzioni funerarie del Cortonese e del Volterrano populoniese appartenenti al VI-VII secolo avanti Cristo".

venerdì 7 maggio 2010

il corredo della tomba


La tomba della Montagnola, scoperta nel 1959, risale al periodo etrusco orientalizzante. La sua costruzione è datata al 625 a. C. circa, ma esistono tracce di una tomba precedente. Il dromos (cioè il corridoio) esterno, lungo circa 14 metri, era in antico senza copertura e fu edificato con grandi blocchi, volutamente irregolari, disposti a filari orizzontali. Nel dromos interno, anch’esso a grandi blocchi, irregolarmente sbozzati, si aprono due celle laterali; sulle ante di quella di destra restavano, al momento della scoperta, deboli tracce di pittura.
La camera centrale (tholos) ha altezza e diametro di pari dimensioni: circa 5 metri. Si alza quasi verticale fino ad una certa altezza, poi la volta si richiude in filari di blocchi aggettanti. Al centro della volta si incastra il pilastro centrale, intonacato di stucco scuro così da assumere in basso l’aspetto di un monolite. Resti di chiodi su tutte le facce del pilastro fanno ipotizzare la presenza di oggetti appesi simmetricamente su di esso. Esternamente la tomba era delimitata da un muro circolare perimetrale (tamburo), sopra il quale si innalzava il tumulo di terreno, che stabiliva l’aspetto esterno fondamentale. Il corredo della Montagnola che si è conservato è molto frammentario. Fra gli avori spicca una porzione di zampa di sgabello pieghevole portatile, un oggetto riservato ai magistrati. Di notevole fattura anche alcuni elementi relativi al rivestimento di un probabile recipiente in legno (situla) decorati a fasce orizzontali. Tra gli ornamenti preziosi, di particolare pregio sono una fibula d’oro a sanguisuga, e una tenia d’oro con rosette applicate, di un tipo comune nelle necropoli di Rodi, che probabilmente veniva cucita su un supporto di stoffa. Altri oggetti rari e pregiati confermano l’esistenza di scambi con altre regioni: alcuni alabastra di alabastro egizio di un tipo largamente diffuso in oriente e presente anche nelle necropoli greco-orientali, un alabastron di “bucchero ionico” decorato a incisione forse giunto dall’Etruria meridionale marittima.

mercoledì 5 maggio 2010

Qualche nozione sulla tomba della Montagnola


Mi sembra doveroso per quanti non conoscessero il monumento dare una prima panoramica di nozioni tratte da Wikipedia: La Tomba della Montagnola si trova in via Fratelli Rosselli 95, all'interno del parco di una villa privata, a Sesto Fiorentino (FI). Si tratta di una tomba a thòlos (falsa cupola) risalente all'ultimo quarto del VII secolo a.C., in ottimo stato di conservazione. Fu scoperta nel 1959 e si ricollega a una serie di tombe etrusche gentilizie abbastanza diffuse nella zona del medio corso dell'Arno, detta appunto Etruria delle Tholoi. È costituita da un dromos esterno scoperto e da uno interno coperto da un tumulo di circa 70 metri di diametro, tra i più grandiosi dell'Etruria settentrionale, che porta a un vestibolo a pianta rettangolare che è affiancato da due cellette laterali, una per lato. Il dromos è appoggiato su un tamburo composto da lastre di calcare, in particolare di arenaria e alberese. Vi si accede da quattro ampi gradini discendenti e, nel fondo, una porta architravata con blocchi monolitici. Le celle hanno portali trilitici che si aprono a metà dei due fianchi del vestibolo. Il vestibolo e le celle sono coperti con lastre sporgenti per una forma a doppio spiovente. Un passaggio stretto e lungo porta alla camera sepolcrale a tholos, che presenta pareti perpendicolari alte circa tre metri ed è sormontata da una falsa cupola di circa 5 metri di diametro, con pietre appoggiate via via più sporgenti e sorrette da un solido pilastro centrale rastremato a base quadrata, in tufo calcareo. In più punti sono state rinvenute tracce di intonaco colorato (rosso e azzurro), con resti di graffiti e iscrizioni. I pochi reperti ritrovati negli scavi si trovano oggi al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. La tecnica della tholos era conosciuta in tutta l'area del Mediterraneo orientale, come testimonia per esempio il celebre Tesoro di Atreo presso Micene in Grecia. Sebbene non raggiunga le dimensioni delle tombe micenee, si tratta, con la vicina Tomba della Mula, di una delle meglio conservate "cupole" pre-romana conosciute in area italica.

lunedì 3 maggio 2010

Giornata 1 - Tappa 3 del "Cammino di Pinocchio": La Tomba della Montagnola è la tana del Gatto e della Volpe

Ecco come Nicola Rilli descrive l'episodio del Gatto e della Volpe che hanno il loro covo all'interno della Tomba della Montagnola: "Erano ladri di galline! Il Gatto, così chiamato dal popolo come soprannome, abitava a Sesto. Aveva una moglie chiamata Chichia ed era molto abile ad entrare nei pollai. Abitava in Via del Bandi; sembra che da principio, fosse garzone macellaio e che, poi, trovando più facile rubare che lavorare, si fosse messo a rubare. E, per restare nel mestiere, rubava galline. Era bravissimo ladro, ma non sempre aveva le idee chiare. Per questo si associò ad un altro ladro, la Volpe, che si chiamava di cogmone quasi così. Costui era di Quinto ed era un furbo matricolato. I due rubavano sempre insieme e facevano mille trucchi per non farsi scoprire. Appena fatto il colpo, andavano a nascondere la refurtiva in una località di Quinto detta Bucaccia. La Bucaccia è una collinetta con dentro una tomba etrusca ora rimessa. Allora, invece, il terreno aveva ceduto, si era aperto un buco e attraverso quello il Gatto e la Volpe scendevano nella tomba per nascondere le cose rubate. Ora la collinetta viene chiamata la Montagnola. Si voltò nel buio e vide due figuracce nere tutte imbacuccate in due sacchi di carbone, le quali correvano dietro a lui a salti e in punta di piedi, come se fossero due fantasmi. «Eccoli davvero!» disse dentro di sé: e non sapendo dove nascondere i quattro zecchini, se li nascose in bocca e precisamente sotto la lingua.
Poi si provò a scappare. Ma non aveva ancora fatto il primo passo, che sentì agguantarsi per le braccia e intese due voci orribili e cavernose che gli dissero:
-O la borsa o la vita! Pinocchio, non potendo rispondere con le parole, a motivo delle monete che aveva in bocca, fece mille salamecchi e mille pantomime per dare ad intendere a quei due incappati, di cui si vedevano solo gli occhimattraverso i buchi dei sacchi, che lui era un povero burattino, e che non aveva in tasca nemmeno un centesimo falso. -Metti fuori i denari o sei morto- disse l’assassino più alto di statura. -Morto!- ripeté l’altro. -E dopo ammazzato te, ammazzeremo anche tuo padre!
-No,no,no, il mio povero babbo no!- gridò Pinocchio con accento disperato: ma nel gridare così, gli zecchini gli sonarono in bocca. -Ah! Furfante! Dunque i denari te li sei nascosti sotto la lingua? Sputali subito! E Pinocchio duro! -Ah! Tu fai il sordo? Aspetta un poco, che penseremo noi a farteli sputare! Allora l’assassino più piccolo si statura, cavato fuori un coltellaccio, provò a conficcarglielo, a guisa di leva e di scalpello, fra le labbra: ma Pinocchio, lesto come un lampo, gli azzannò la mano coi denti, e dopo avergliela con un morso staccata di netto, la sputò; e figuratevi la sua meraviglia quando, invece di una mano, si accorse di aver sputato in terra uno zampetto di gatto".

martedì 27 aprile 2010

la scuola primaria "Pascoli"


Al solito le scuole vengono solo valorizzate per quelle che sono e fanno, giorno dopo giorno, ma in pochi ne curano la loro storia. Anch'io ovviamente non faccio eccezione alla regola e spero davvero che qualcuno possa aiutarmi nel rintracciare le notizie sulla Scuola Primaria "Pascoli", che si affaccia proprio sul neonato giardino che incorpora l'acquedotto romano, proprio tra la villa Stanley e la tomba della Montagnola. Anche se ovviamente la struttura muraria indica che certo la scuola è di molto posteriore alle ville che la circondano sono certo che qualcuno ne conosce la storia. Tutto quello che posso dire fino adesso è che il plesso si compone di cinque aule, un laboratorio di informatica, un laboratorio di psicomotricità, uno spazio polivalente, biblioteca, mensa ed un ampio giardino: un po' troppo poco non trovate?

mercoledì 21 aprile 2010

parte 3: l'acquedotto romano visto da Marco Giachetti


Termino di pubblicare il resoconto sull'acquedotto romano dove Marco Giachetti rende noto quanto fino ad oggi sappiamo di quest'importante opera romana e lo ringrazio:
"Attualmente i dati noti sono:
- In località Buca del Tasso, poco a sud, lungo la stessa via Barberinese, M.Bacci ha seguito per alcune centinaia di metri il tracciato del condotto, libero da vegetazione arborea, nella boscaglia.
- L’ultimo ritrovamento del comune di Calenzano è riportato nel corposo volume di D.Lamberini- Calenzano e la Valdimarina, in cui le memorie di un parroco di Settimello, il Pupilli, parlano del ritrovamento di un condotto romano alla stalla della casa del Balzo, lungo l’attuale via Baldanzese; è possibile che lo stesso toponimo IL BALZO fosse in qualche modo in relazione con la traccia del condotto, semiaffiorante nelle arature, costituente nella parte a monte una sorta di “diga” ostacolo al dilavamento e presentantesi come un balzo naturale del terreno;
Lo stesso ritrovamento presso la chiesa di Settimello, di un grande ninfeo ottagonale, probabilmente annesso alle terme di una “mansio”, potrebbe essere collegato con un sifone di troppo pieno dell’acqedotto, che scorreva immediatamente a monte. Nel comune di Sesto il Moreni, già nel settecento segnalava il ritrovamento del condotto “sopra e sotto” Querceto (evidentemente usando Firenze come termine di osservazione); i ritrovamenti effettuati dal Gruppo Archeologico nel 1979 e nel 1983 rispettivamente a Sesto in via Genova e in via del Cuoco, quello degli anni trenta nel podere dell’hotel Villa Villoresi (il Prato alla Tosa) e quello del 1956 di via Meucci ang. V.Bencini hanno permesso di definire con certezza il tracciato in quelle zone, mentre ancora mancava il tratto del proseguimento fino alla villa Reale di Castello, dove lo segnalava il Fei, autore di una guida di quel monumento; recentemente - 2001, i lavori TAV per il tunnel ferroviario sotto M.Morello hanno sezionato un tratto dell’acquedotto, appena a monte del cimitero di Sesto; i sondaggi archeologici eseguiti precedentemente avevano dato esito negativo, per cui era stato autorizzato lo sbancamento TAV, ed è stato per puro caso, durante il sopraluogo provocato da un’altra emergenza archeologica sotto le radici di un olivo, che ci siamo accorti, poco lontano nella sezione, della presenza di una macchia di calcinacci dovuta alla distruzione di qualche muratura; conoscendo la pubblicazione del Chiostri (della quale a distanza di trent’anni è stata fatta una ristampa) ho subito pensato all’acquedotto, cosa confermata dopo i lavori di ripulitura. Lo stesso professor Chiostri, a ottant’anni suonati, ha avuto la gratifica di potersi infilare nel condotto, appena vuotato dei sedimenti accumulatisi nei secoli.
Attualmente il sito di questo affioramento è stato ben scavato dalla Soprintendenza Archeologica, in vista di una sua pubblica fruizione. Nel comune di Firenze, dopo i sotterranei della Villa Reale di Castello, si rintracciò il condotto nel podere Il Chiuso, in località Il Sodo, dove, a detta del sig. Ballini, abitante la c.colonica a metà di via della Montalve, veniva chiamato dai contadini “muro del diavolo” perché appariva inspiegabile la sua lunghezza, con il ritrovarsi dietro la casa, nei campi in vari fossi di drenaggio ed evidentemente di ostacolo alle arature, nei suoli coltivabili. Oltre via delle Montalve, il condotto era ormai fuori terra, al punto che, eliminando i rovi, si vide che, presentando esternamente l’aspetto di un rozzo muro a ciottoli, costituiva il limite tra campi differenti e attualmente la Palestra Universitaria di via Eleonora Montalvo conserva, sul limite del giardino del retro, una parte del muro che contiene il condotto. Un giorno del 1983, mentre in auto con l’ispettore De Marinis percorrevamo via di Quarto, ci siamo accorti che, nel muro a lato del civico n.7 c’era traccia della muratura dell’acquedotto, alquanto differente da quella usata normalmente, nel resto della recinzione. Pochi giorni dopo, nel campo adiacente, a lato delle case degli ex-profughi dalla Grecia di via Da Tolentino, in un fossetto di drenaggio, si trovò traccia del condotto e la cosa fu segnalata alla S.A.T. con lettera raccomandata. A distanza di ventitrè anni, la scorsa estate, la lottizzazione edile ha completamente sconvolto una cinquantina di metri del condotto, già mancante della copertura evidentemente demolita nei secoli dalle arature. In periodo di ferie, fortunosamente un Pistoiese che aveva letto il libro del Chiostri, si è accorto di ciò avvisando la soprintendenza che ha potuto operare un salvataggio parziale delle strutture, che smontate in pezzi, verranno rimontate nell’erigendo giardino condominiale (sperando che l’andare del tempo e i calci dei ragazzi non ne portino il completo degrado).Il percorso successivo, parallelo al torrente Terzolle, si svolgeva fuori terra, disegnando archi sempre più elevati (nella zona del Romito quasi 8 metri). La chiesa di S.Stefano “de uno Pane” era ubicata “prope arcum antiquum” e chiamata anche S. Stefano all’Arcora, la successiva via dell’Arcorata o dell’Arcovata fa pensare alle arcate che ancora nel medioevo esistevano nella zona (ancora nel settecento ne erano visibili alcune presso il Romito che sono riportate in stampe e vedute dell’epoca). Dopo l’ingresso nella città romana (che iniziava presso S.Maria Maggiore) l’acquedotto riforniva terme e fontane pubbliche: quelle di Capaccio- da caput aquae, dovevano essere le ultime rifornite; le terme di P.Signoria hanno anche dato un’epigrafe con il probabile nome di chi le ha fatte costruire, un potente liberto imperiale"