martedì 27 aprile 2010

la scuola primaria "Pascoli"


Al solito le scuole vengono solo valorizzate per quelle che sono e fanno, giorno dopo giorno, ma in pochi ne curano la loro storia. Anch'io ovviamente non faccio eccezione alla regola e spero davvero che qualcuno possa aiutarmi nel rintracciare le notizie sulla Scuola Primaria "Pascoli", che si affaccia proprio sul neonato giardino che incorpora l'acquedotto romano, proprio tra la villa Stanley e la tomba della Montagnola. Anche se ovviamente la struttura muraria indica che certo la scuola è di molto posteriore alle ville che la circondano sono certo che qualcuno ne conosce la storia. Tutto quello che posso dire fino adesso è che il plesso si compone di cinque aule, un laboratorio di informatica, un laboratorio di psicomotricità, uno spazio polivalente, biblioteca, mensa ed un ampio giardino: un po' troppo poco non trovate?

mercoledì 21 aprile 2010

parte 3: l'acquedotto romano visto da Marco Giachetti


Termino di pubblicare il resoconto sull'acquedotto romano dove Marco Giachetti rende noto quanto fino ad oggi sappiamo di quest'importante opera romana e lo ringrazio:
"Attualmente i dati noti sono:
- In località Buca del Tasso, poco a sud, lungo la stessa via Barberinese, M.Bacci ha seguito per alcune centinaia di metri il tracciato del condotto, libero da vegetazione arborea, nella boscaglia.
- L’ultimo ritrovamento del comune di Calenzano è riportato nel corposo volume di D.Lamberini- Calenzano e la Valdimarina, in cui le memorie di un parroco di Settimello, il Pupilli, parlano del ritrovamento di un condotto romano alla stalla della casa del Balzo, lungo l’attuale via Baldanzese; è possibile che lo stesso toponimo IL BALZO fosse in qualche modo in relazione con la traccia del condotto, semiaffiorante nelle arature, costituente nella parte a monte una sorta di “diga” ostacolo al dilavamento e presentantesi come un balzo naturale del terreno;
Lo stesso ritrovamento presso la chiesa di Settimello, di un grande ninfeo ottagonale, probabilmente annesso alle terme di una “mansio”, potrebbe essere collegato con un sifone di troppo pieno dell’acqedotto, che scorreva immediatamente a monte. Nel comune di Sesto il Moreni, già nel settecento segnalava il ritrovamento del condotto “sopra e sotto” Querceto (evidentemente usando Firenze come termine di osservazione); i ritrovamenti effettuati dal Gruppo Archeologico nel 1979 e nel 1983 rispettivamente a Sesto in via Genova e in via del Cuoco, quello degli anni trenta nel podere dell’hotel Villa Villoresi (il Prato alla Tosa) e quello del 1956 di via Meucci ang. V.Bencini hanno permesso di definire con certezza il tracciato in quelle zone, mentre ancora mancava il tratto del proseguimento fino alla villa Reale di Castello, dove lo segnalava il Fei, autore di una guida di quel monumento; recentemente - 2001, i lavori TAV per il tunnel ferroviario sotto M.Morello hanno sezionato un tratto dell’acquedotto, appena a monte del cimitero di Sesto; i sondaggi archeologici eseguiti precedentemente avevano dato esito negativo, per cui era stato autorizzato lo sbancamento TAV, ed è stato per puro caso, durante il sopraluogo provocato da un’altra emergenza archeologica sotto le radici di un olivo, che ci siamo accorti, poco lontano nella sezione, della presenza di una macchia di calcinacci dovuta alla distruzione di qualche muratura; conoscendo la pubblicazione del Chiostri (della quale a distanza di trent’anni è stata fatta una ristampa) ho subito pensato all’acquedotto, cosa confermata dopo i lavori di ripulitura. Lo stesso professor Chiostri, a ottant’anni suonati, ha avuto la gratifica di potersi infilare nel condotto, appena vuotato dei sedimenti accumulatisi nei secoli.
Attualmente il sito di questo affioramento è stato ben scavato dalla Soprintendenza Archeologica, in vista di una sua pubblica fruizione. Nel comune di Firenze, dopo i sotterranei della Villa Reale di Castello, si rintracciò il condotto nel podere Il Chiuso, in località Il Sodo, dove, a detta del sig. Ballini, abitante la c.colonica a metà di via della Montalve, veniva chiamato dai contadini “muro del diavolo” perché appariva inspiegabile la sua lunghezza, con il ritrovarsi dietro la casa, nei campi in vari fossi di drenaggio ed evidentemente di ostacolo alle arature, nei suoli coltivabili. Oltre via delle Montalve, il condotto era ormai fuori terra, al punto che, eliminando i rovi, si vide che, presentando esternamente l’aspetto di un rozzo muro a ciottoli, costituiva il limite tra campi differenti e attualmente la Palestra Universitaria di via Eleonora Montalvo conserva, sul limite del giardino del retro, una parte del muro che contiene il condotto. Un giorno del 1983, mentre in auto con l’ispettore De Marinis percorrevamo via di Quarto, ci siamo accorti che, nel muro a lato del civico n.7 c’era traccia della muratura dell’acquedotto, alquanto differente da quella usata normalmente, nel resto della recinzione. Pochi giorni dopo, nel campo adiacente, a lato delle case degli ex-profughi dalla Grecia di via Da Tolentino, in un fossetto di drenaggio, si trovò traccia del condotto e la cosa fu segnalata alla S.A.T. con lettera raccomandata. A distanza di ventitrè anni, la scorsa estate, la lottizzazione edile ha completamente sconvolto una cinquantina di metri del condotto, già mancante della copertura evidentemente demolita nei secoli dalle arature. In periodo di ferie, fortunosamente un Pistoiese che aveva letto il libro del Chiostri, si è accorto di ciò avvisando la soprintendenza che ha potuto operare un salvataggio parziale delle strutture, che smontate in pezzi, verranno rimontate nell’erigendo giardino condominiale (sperando che l’andare del tempo e i calci dei ragazzi non ne portino il completo degrado).Il percorso successivo, parallelo al torrente Terzolle, si svolgeva fuori terra, disegnando archi sempre più elevati (nella zona del Romito quasi 8 metri). La chiesa di S.Stefano “de uno Pane” era ubicata “prope arcum antiquum” e chiamata anche S. Stefano all’Arcora, la successiva via dell’Arcorata o dell’Arcovata fa pensare alle arcate che ancora nel medioevo esistevano nella zona (ancora nel settecento ne erano visibili alcune presso il Romito che sono riportate in stampe e vedute dell’epoca). Dopo l’ingresso nella città romana (che iniziava presso S.Maria Maggiore) l’acquedotto riforniva terme e fontane pubbliche: quelle di Capaccio- da caput aquae, dovevano essere le ultime rifornite; le terme di P.Signoria hanno anche dato un’epigrafe con il probabile nome di chi le ha fatte costruire, un potente liberto imperiale"

lunedì 19 aprile 2010

parte 2: l'acquedotto romano visto da Marco Giachetti


Riprendo il racconto di Giachetti dopo la parentesi delle novità dal Lampione. E' proprio questo il pezzo che vorrei porre all'attenzione dei lettori in attesa di altri eventuali commenti, in quanto l'amico Marco confuta la posizione dell'Architetto Chiostri, fino ad oggi incontrastara:
"Il prof. Chiostri (autore di un volume sull’acquedotto di Firenze, recentemente aggiornato e ristampato) afferma che l’opera sarebbe stata realizzata in un secondo tempo, dopo la fondazione della città; ma in realtà la centuriazione, la fondazione, le mura, l’acquedotto appaiono dappertutto come operazioni concatenate, una sorta di “pacchetto” offerto ai veterani smobilitati,per cui non c‘è ragione di pensare all‘acquedotto come posteriore agli altri eventi della colonia. L’acquedotto, in condotto sotterraneo fino a via delle Panche e poi su archi pensili, attingeva le acque dal torrente Marinella di Legri, presso La Chiusa di Calenzano, corso d’acqua che, ricevendo da un vasto complesso carsico, aveva una portata quasi costante, in tutte le stagioni. I ritrovamenti, già iniziati nel ’700, provocarono nel 1974, con il ritrovamento di via Barberinese alla Chiusa, la prima edizione del libro del Chiostri “L’acquedotto Romano di Firenze”".

giovedì 15 aprile 2010

Un'ultima pubblicazione dal Lampione

In attesa dell'uscita prevista per fine maggio del primo dei 14 volumi che l'editore Giunti ha voluto dedicare all'opera omnia del Collodi con l'appoggio della Fondazione di Collodi metto nel post anche l'ultimo dei racconti riscoperti del Collodi pubblicati sul Lampione e ripubblicati sul Sole 24 Ore: "S'ingrassa col nostro erario chi non sa leggere il lunario.
Le protettrici/In illo tempore/(mai più riviva)/Mentre il buon popolo/Se la dormiva; Di Aristocratiche/Una tregenda/Teneva il mestolo/Della polenda;E sapea volgere/A suo talento i membri duttili/Del Parlamento./Allor per cabala/E per favori/Si dispensavano/Impieghi, e onori/Nido di scioli/D'inette arpie/Eran le misere/Segreterie;/Ed impinguavasi/Col nostro erario/Gente che leggere/Non sa il lunario/E a forza di oboli/Per farne scudi/Sudava il povero/Per tanti drudi./Or per la Taide/E per la Frine/Il dolce metodo/Ha avuto fine./L'amico è un ebete?/Serva al piacere.../Gl'insegna l'Asino/Il suo mestiere/l'amico ha spirito?/Faccia il buffone,/Svaghi la nobile/Coversazione/L'amico è cucciolo?/Faccia il lecchino/Gli affetti fulmini/Con l'occhialino,/L'amico è povero?/Datagli pane,/Il posto a tavola/Gli ceda il cane./Se porta l'abito/Di Don Pirlone/Se fa l'Ipocrita/Per professione/Se per politica/Suona la tromba,/Si porti a Napoli/Presso il Re Bomba./Se poi gli è un bindolo/Rubi del vostro.../Ma senza scapito/Di quel che è nostro./Bando agli strascichi/Dei guardinfanti,/Bando ai proseliti/Degl'intriganti./Fuori la bozzima/Dai dicasteri.../Ce la lasciarono/Gli ex-consiglieri./Giù quelle maschere/Che un giornale/Sfogan la fisima/Di Tribunale./Abbasso i ciondolini/I gingillini.../E' in piazza il trespolo/Dei Burattini./Troppo il Barometro/Segnò lo zero!/Cessa la cabala/Trionfa il vero./Dal capitombolo/Dei vecchi amici/più non sgonnellano/Le protettrici". Da "Il Lampione" del 29 dicembre 1848. Ma è davvero passato così tanto tempo, sembra quasi che si parlidi oggi, che ne dite?

mercoledì 14 aprile 2010

ancora sugli inediti del Lampione

La cosa più interessante dell'articolo de Il Sole 24 ore è sicuramente la constatazione, come si è visto nel racconto edito nel post precedente, che Collodi ha tratto ispirazione da Dante (nel caso specifico), ma anche da altri grandi classici della letteratura per proporre le sue "Macchiette" in rima: è questo modo di scrivere, stile giornalistico umoristico, che è diventato un "marchio di fabbrica", un laboratorio di scrittura prosaico-poetico che certamente ha influenzato il suo modo di scrivere il suo "Pinocchio". Ecco quindi che per irridere l'ex re di Napoli lo chiama Bomba II: "Dai vostri nascondigli/Tigri e pantere uscite,/ A insanguinar gli artigli/In queste carni misere venite;/Ché privato del regno/Non m'importa morire,/Anzi la vita ho a sdegno/E in un modo o in un altro ha da finire.//Datemi una pistola/Vo' levarmi il cervello;/Ch'io mi tagli la gola/Per carità porgetemi un coltello./A così vile oltraggio/Non regge il cor, lo sento,/Dunque moriam,coraggio.../Morir?... La morte no mi fa spavento (si gratta)".

lunedì 12 aprile 2010

inediti dal Lampione di Collodi


Rimando con dispiacere di qualche giorno le altre puntate del racconto di Maroo Giachetti sull'acquedotto romano, che tra l'altro hanno ancora una volta "fatto centro" visto l'enormità di materiale che mi è arrivata in posta, sul cellulare o più semplicemente a voce su uno dei monumenti storici più importanti di Sesto, tanto che addirittura mi è stato chiesto di organizzare un percorso trekking alla sua ricerca (giuro che ho provato a dire che si tratta di circa 20 chilometri ma questo non è bastato a scoraggiare), per condividere con il lettori del blog una segnalazione che mi ha fatta la Prof. Beatrice Mazzanti riguardo ad un articolo su Collodi uscito domenica scorsa sul supplemento del Sole 24 ore. Nell'articolo si è data notizia dell'attribuzione a Carlo Lorenzini di alcuni componimenti apparsi senza firma o con pseudonimo nella rivista "Il Lampione", giornale politico-umoristico di cui Collodi fu proprietario, direttore, redattore, chiusa poi per questo dalla censura. Allo pseudonimo Collodi usato per la prima volta nel 1856 in precedenza il Lorenzini sembra che ne abbia usati altri come Lampione, Io Lampione, Diavoletto, o zztzz oppure non abbia usato firme. Ecco quindi che nella rubrica "Pizzicotti a domicilio" si legge sui dissidi tra preti e Salasco firmatario dell'armistizio con l'Austria: "Fior di patate/Vescica che ama l'ordine e la quiete/Estorce i voti a suon di bastonate; Fiorin di noce/Canonici del Duom, così mi piace;/Rinnegaste l'Italia per la Croce; Fior di carote/O Revel, o Bozzelli, su smettete:/Vuole così colui che tutto puote; e Fior di gaggia/Salasco fa smacchiar la giubba sua,/Ma c'è una macchia che non può andar via".

giovedì 8 aprile 2010

parte 1: l'acquedotto romano visto da Marco Giachetti


Nella foto di Marco Giachetti: lacquedotto romano al parcheggio del cimitero maggiore.
Ringrazio e pubblico un recente aritolo edito da Marco Giachetti, del Gruppo Archeologico Fiorentino, sull'acquedotto romano. Per la sua lunghezza lo metterò sul blog a puntate. Spero che lo leggiate con interesse perché presenta un punto di vista diverso da quello del'architetto Chiostri. Ovviamente questa vuol essere una "punzecchiatura" er invitare i miei lettori ad intervenire e a dire la loro.

"Sono solo due gli episodi storici di rilievo internazionale nel primo periodo dopo la nascita di Cristo, che interessano la nostra zona: l’invasione annibalica e la congiura di Catilina; Silio Italico racconta che le terribili paludi di Fiesole costarono un occhio ad Annibale: la piana evidentemente, in questo momento era ritornata paludosa, o per eventi meteorici pregressi, o volutamente dagli abitanti, per rendere difficile ai cartaginesi la possibilità di rifornimenti. La sconfitta e la uccisione di Catilina, presso Capostrada di Pistoia invece portò rappresaglie ed incendi a Fiesole, che aveva aiutato la sedizione. E’ possibile che a questo momento risalga la centuriazione del Mugello, pertinente al territorio di Fiesole; il terreno, come più tardi accadde nella conca fiorentina, venne suddiviso in riquadri di circa 710 metri di lato, limitati da strade, per circa 50 ettari complessivi, attribuiti normalmente a 4 aventi diritto (veterani smobilitati). Le fonti letterarie parlano di disordini accaduti in seguito alle uccisioni, nottetempo di alcuni di questi ex-legionari, considerati dagli indigeni come usurpatori. I tumulti della fine della repubblica romana, invece, con il primo e secondo triumvirato, portarono, al prevalere di Augusto, la smobilitazione di un gran numero di suoi soldati che furono poi “dedotti” in numerose colonie sparse per l’Italia e fuori. Gli scavi di via del Proconsolo, a fianco della Badia Fiorentina, hanno dato il termine sicuro di costruzione delle mura e quindi probabilmente, della fondazione della colonia di Florentia: più o meno il 30 avanti Cristo. Quasi tutte le colonie (in Toscana tra le altre Firenze, Pisa, Lucca, Arezzo) portarono con se’ la centuriazione del territorio circostante e qui a Firenze si ebbe un’estensione tra le più vaste (circa 300 kilometri quadrati) e questo fatto, unito ad una maggior vivacità dell’insediamento rispetto ad altri centri, portò Firenze a diventare la città più importante d’Etruria, nel corso del periodo imperiale, sede del Corrector Etruriae. La Cassia e la Flaminia Minor, unite alla via Pisana, costituivano la principale viabilità: una fonte narra che era possibile, in soli tre giorni, andare dal Tirreno all’Adriatico; c’era poi la via d’acqua dell’Arno, non sempre utilizzabile per via delle piene rovinose e delle magre. La presenza poi di Fullonicae (stabilimenti per la follatura dei tessuti), di attività ceramiche, della concia delle pelli, di fonderie ed altre manifatture fa pensare all’incremento abitativo della città, nata tutto sommato piccola (il circuito delle mura, ricostruito interamente era di poco più di 1800 metri; a Cosa, altra piccola città, rimasta poi piccola era di 1500 metri). Ogni città era naturalmente dotata di infrastrutture; oltre alle mura e strade, il foro, i templi, gli edifici per l’amministrazione e lo svago: il circo, il teatro, l’anfiteatro. L’anfiteatro di Firenze poteva contenere almeno 10000 spettatori, evidentemente commisurato alla dimensione abitativa di Florentia, più quella di Faesulae che ne era priva; è possibile che dalla fondazione coloniale augustea, si sia verificato un progressivo spopolamento di Fiesole, a vantaggio del più dinamico capoluogo. L’approvvigionamento idrico era garantito da acquedotti che rifornivano fontane pubbliche e terme nellle due città; mentre per quello di Fiesole si hanno pochissimi dati sicuri (sembra che adducesse le acque di alcune sorgenti, nella zona di Montereggi, con un qualche possibile ruolo della Fonte Sotterra di Borgunto) di quello di Firenze abbiamo numerosi dati, soprattutto con gli scavi d’emergenza per l’edilizia".

domenica 4 aprile 2010

La portata dell'acquedotto romano


"Ti invio la prima foto (bella) fatta all'interno del condotto dell'acquedotto romano a La Chiusa (da M.Bacci)". Colgo l'occasione per mettere in rete la mail inviatami dallo studioso di storia locale Marco Giachetti per rendere nota la portata dell'acquedetto romano, ovviamente accodandomi ancora una volta ai calcoli ineccepibili dell'architetto Frido Chiostri che tanto lo ha studiato. I rilievi fatti alla parte interrata hanno rivelato che la sezione di scorrimento del canale è pari a 0,50 metri quadri. Frido Chiostri ha quindi ipotizzato due varibili di calcolo: la prima prevede che l'acquedotto lungo tutto il suo percorso abbia avuto forma pressochè indentica a quella interrata pari cioè a 0,45 metri quadri con 45 cm di base e 110 di altezza, la seconda pari a 0,54 metri quadri con 60 cm. di base e 90 cm. di altezza in similitudine con l'acquedotto Caludio di Roma, quello cioè più vicino architettonicamente e temporalmente a quello fiorentino. Altri dati considerati dall'architetto sono quelli della sezione di scorrimento pari a 4/5 del totole; la pendenza calcolata attorno al0,063 per cento; infine la scabrosità delle pareti dello speco per cui si è preso come riferimento i coefficiente del calcestruzzo cassonato ruvido. I risultati così ottenuti sono quindi compresi tra un minimo di 194 litri al secondo ed un massimo di 238. Presumibilmente quindi l'acquedtto era capace di portare a Florentia almeno 200 litri d'acqua al secondo, più che soddisfacenti per una città come si suppone fosse Florentia alla metà del II secolo D.C. pur considerando le perdite, i "furti" d'acqua, e gli ovvi periodi di magra del Marinella.