mercoledì 28 ottobre 2009

La Richard-Ginori fino ai giorni d'oggi

La Richard Ginori nel 1897 acquista lo stabilimento ceramico per terraglia del Cav. Felice Musso di Mondovì e nel 1900 quello di Vado dove si produce grés. Nel periodo 1923-1930 Gio Ponti lavora come direttore artistico presso la Manifattura Ceramica Richard-Ginori, rinnovandone la gamma di prodotti. Nel 1965 avviene la fusione con la Società Ceramica Italiana di Laveno S.C.I. Nel 1975 la Pozzi e la Società Ceramica Italiana Richard-Ginori si fondono per dare vita ad un'unica grande struttura: la Pozzi-Ginori. Nel 1977 viene acquisita dal gruppo assicurativo Società Assicuratrice Italiana di Salvatore Ligresti. Nel 1993 la Pozzi-Ginori è acquistata dalla Sanitec Corporation, gruppo multimarca leader europeo nell'arredobagno, mentre la manifattura Richard Ginori viene rilevata nel 1998 da Pagnossin spa con a capo il presidente Carlo Rinaldini e A.D. ing.Domenico Dal Bo', primo gruppo italiano per importanza nel settore dei servizi da tavola. Nel 2006 entra nella proprietà di Richard Ginori il gruppo emiliano di Rocco Bormioli e, a fianco di un'ipotizzata costruzione di un nuovo stabilimento di produzione, si propone una trasformazione del prodotto in modo tale da poter portare il marchio Ginori, uno dei più antichi del brevetto italiano, nelle catene della grande distribuzione. Molto del materiale commercializzato dall'ingresso di Pagnossin non è più prodotto nella fabbrica sestese ma proviene da industrie non italiane: scelta giustificata dalla necessità di ridurre i costi di produzione. La presenza del gruppo Bormioli cessa nel dicembre dello stesso anno. Al vertice della società, travolta da una situazione debitoria preoccupante, arriva l'immobiliarista Luca Sarreri presidente anche della controllante Pagnossin. Ma il futuro dell'azienda è legato ad un filo sottolissimo connesso proprio alle prospettive immobiliari che taluni ipotizzano per l'area dello stabilimento sestese. Nell'Ottobre del 2007 la Richard-Ginori viene rilevata dalla Starfin Spa di Roberto Villa. Nel Marzo 2009, dopo 3 anni, il titolo della soecità ritorna ad essere quotato in borsa si inizia ad investire in nuovi show-room all'interno degli outlet italiani.

lunedì 26 ottobre 2009

La manifattura di Doccia diventa Richard Ginori

A Milano veniva costituita nel 1830 dalla ditta Gindrand la "Società per la fabbricazione delle porcellane lombarde", che fu poi ceduta nel 1833 al Nob. Luigi Tinelli. Questi fondava la fabbrica di "San Cristoforo". Giulio Richard, piemontese di origine svizzera (Nyon), giunge a Milano il 23 maggio 1842 e rileva la fabbrica di ceramiche e porcellane di Luigi Tinelli. L'intraprendente Richard ha grandi idee per la piccola fabbrica, e così dai forni dello stabilimento cominciano ad uscire non solo manufatti pregiati, destinati ad abbellire il salotto di qualche ricca signora, ma anche vasellame e terraglie per un uso quotidiano. La Società Ceramica Richard viene costituita dal fondatore Giulio Richard il 23 febbraio 1873, avente sede in Milano e con gli stabilimenti di S. Cristoforo, di Palosco, di Sovere -questi ultimi due saranno poi abbandonati. Nel 1887 acquista lo stabilimento della famiglia Palme di Pisa e fonda il deposito di merci in S. Giovanni a Teduccio (Napoli) per servire le province meridionali. L'11 ottobre 1896 la Società Ceramica Richard acquisisce la Manifattura dei marchesi Ginori. Nasce la Richard-Ginori. Lo Stabilimento Palme, nella città di Pisa, è il primo che venne ad aggiungersi a S. Cristoforo nella Società Richard. Il suo acquisto (1887) fu consigliato da motivi sia industriali sia commerciali. Tra questi: la vicinanza al mare; la sua localizzazione nel cuore d'Italia, che agevolava anche il commercio nazionale; il completamento della gamma di produzione, che poteva agevolare la vendita dei prodotti di S. Cristoforo; l’esistenza in loco di combustibile vegetale ed il minor costo del minerale; le quote di esportazione consolidate; ecc. Questi furono i motivi che ne determinarono l'acquisto fatto con Rogito Fontani l'11 dicembre 1887. I Palme erano mercanti originari della Boema che si stabilirono stabilmente in Toscana dopo il Congresso di Vienna (1815), prima a Livorno (circa 1820) e poi a Pisa per darsi all'industria. I documenti ricordano i primi loro acquisti in Pisa nella Via S. Marta, fatti nel 1837, e nel 1841 a S. Michele, fuor delle mura lungo l'Arno, all'estremità della passeggiata delle Piagge. Sembra che contemporanearnente esercitassero la fabbricazione sia delle terraglie sia della vetreria, ma quest'ultima fu presto dismessa. Si noti che, come risulta da documenti conservati negli Archivi di Stato della Repubblica Ceca, questa famiglia boema
proveniva da Parchen, villaggio situato nel distretto del cristallo boemo (Steinschoenau, Parchen, Haida) e il loro cognome originale, prima del XIX secolo, era Pallme (scritto con due elle). L'11 ottobre 1896 la Società Ceramica Richard si fonde con la Manifattura dei marchesi Ginori: unisce alla sua attività lo stabilimento di Doccia ed i sei negozi di Firenze, Bologna, Torino, Roma e Napoli. Nasce la famosa ditta di ceramiche Richard-Ginori. L'ingresso dei Richard a Doccia introduce moltissime innovazioni meccaniche nei laboratori e potenzia la decalcomania litografica per ridurre le forti spese della decorazione a mano. Vengono costruiti nuovi forni, nuovi fabbricati e viene ampliata la produzione degli isolatori elettrici per far fronte alla crescente forte richiesta del mercato italiano.

domenica 25 ottobre 2009

Dal Dizionario Geografico Fisico Storico della Toscana di Emanuele Repetti - 1833


DOCCIA (FABBRICA DELLE PORCELLANE A) nel Val d'Arno fiorentino. Grandiosa manifattura del marchese Ginori stabilita in prossimità della sua villa di Doccia nel popolo di S. Romolo a Colonnata, Comunità Giurisdizione e appena mezzo miglio a grecale del borgo di Sesto, Diocesi e Compartimento di Firenze, da cui è 6 miglia a maestro.
La Toscana che ha credito di essere stata una delle prime nazioni a fabbricare e dipingere vaghe e nobili stoviglie, note sotto il vocabolario di Vasi Etruschi; la Toscana che fornì alle belle arti mercé due orafi e scultori fiorentini (Luca della Robbia, e Benvenuto Cellini) le prime opere di terra invetriata, e i primi smalti fissati sulle piastre di oro; la Toscana vide anche per le cure di un illustre fiorentino, stabilire presso la capitale la prima manifattura di porcellane che sia sorta e abbia prosperato in Italia.
Comecché questo ricco e delicato genere di stoviglie fosse usato nella Cina e nel Giappone 2000 anni innanzi l'Era volgare; fu solamente nella prima decade del secolo XVIII che, a forza di prove fatte dal chimico Tirschenhausen alla nuova fabbrica di Meissen presso Dresda, si poté ottenere, nel 1710, la prima paste di una vera porcellana, che ben presto fornì e rese celebre in Europa la manifattura reale delle porcellane di Sassonia.Otto anni dopo (1718) un operajo fuggitivo di Meissen comunicò i processi di quella manifattura a una consimile fabbrica, che allora si eresse a Vienna, e che fu la madre di altre molte dell'Alemagna, e forse anche di quella fiorentina di Doccia.
Erano già due anni dacché il marchese senatore Carlo Ginori, meditando di stabilire alla sua villa di Doccia una manifattura di porcellane all'uso di quelle di Sassonia, aveva fatto eseguire diverse prove per riuscire nel suo scopo, quando egli, nel 1737 fu inviato a Vienna a complimentare l'imperatore Francesco I. Fu in Tale occasione che il Marchese prenominato fissò al suo stipendio due artisti tedeschi; uno dei quali (Carlo Wandelein) perito nella chimica e forse a portata di qualche segreto attinto nella fabbrica di Vienna per stabilire e dirigere a Doccia la manifattura delle porcellane: e l'altro, semplicista, (Alarico Prugger) per creare e mantenere un orto o giardino botanico nella stessa villa Ginori di Doccia.
Dopo molte dispendiose ricerche e processi tentati, la manifattura Ginori, nel 1740, cominciò a porre in commercio i suoi prodotti. I quali consistevano in porcellane a pasta dura e coperta simile, ossia feldspatica e terrosa; le quali porcellane a pasta e coperta dura, assai più resistenti delle porcellane tenere, o d'intonaco vitreo, avevano subito nella fornace un calore corrispondente, se non superiore, a 122 gradi del pirometro di Wedgwood.In tutti i paesi nei quali furono introdotte e stabilite tali manifatture esse, o non ebbero lunga durata, o non si sostennero senza il patrocinio e munificenza dei respettivi sovrani, che le eressero e le fecero lavorare per conto proprio.
All'incontro la manifattura delle porcellane di Doccia si sostenne costantemente dalla stessa nobile famiglia che la fondò, e che sino dai primordj ottenne dal governo la privativa di essere l'unica in questo genere, senza però escludere la concorrenza delle porcellane e di altre stoviglie provenienti dall'estero.Mancato ai viventi, nel 1757, il marchese Carlo Ginori, il di lui figlio e successore, senator Lorenzo, ingrandì gli edifizj e le officine, aumentò i comodi e le macchine relative al lavacro, al miscuglio e preparazione delle terre e delle paste e diede al fabbricato la forma esteriore che oggi pure conserva. Seguitando egli e metodi e i processi medesimi di fabbricazione lasciati dal padre, e impiegando materiali ora toscani, ora esteri, fece costruire statue, vasi e altri oggetti di porcellana dura, delle più grandi dimensioni; e pervenne a supplire al consumo interno del Granducato, e all'esportazione allora non inceppata dei limitrofi Stati italiani,
Sino all'anno 1805 la manifattura di Doccia si era unicamente servita delle fornaci rettangolari per cuocere le sue porcellane.Nel 1806 fu costruito un forno cilindrico verticale, come quelli che erano già stabiliti in Francia nella R. fabbrica delle porcellane di Sèvres, e poscia introdotti in Inghilterra in quella di majoliche da Wedgwood.Dopo tal'epoca la manifattura di Doccia migliorò anche nella lucentezza della sua coperta, nella vivacità e ricchezza dei suoi colori: in guisa che si trovò essa ben tosto in grado di eseguire contemporaneamente alle porcellane diverse altre specie di subalterne fabbricazioni di stoviglie e di majoliche comuni pel servizio della classe più numerosa della popolazione.
Nel 1819 l'attuale marchese Leopoldo Carlo Ginori immaginò e costruì un forno circolare a quattro piani, il quale produsse con l'economia del combustibile effetti assai vantaggiosi. Questa fornace alta braccia 37 richiamò l'attenzione e la lode delle persone dell'arte e de'scienziati, fra i quali il celebre naturalista Al. Brougnart, che ne pubblicò la descrizione e la figura nel Nuovo Dizionario Universale Tecnologico compilato in Francia da una società di dotti, e quindi tradotto a Venezia.Lo stesso marchese L.C. Ginori aumentò il fabbricato, costruì una vasta sala dove riunì una numerosa collezione di scelti modelli di scultura; fece progredire e rese più florida e di buon gusto la parte pittorica con le altre branche numerose d'industria che concorrono al buon successo di sì complicata fabbricazione.Esiste nella manifattura un'accademia di musica e una scuola elementare per comodo e sollievo dei lavoratori stessi.
Potrebbe in questo momento, attesi i grandi aumenti operati nelle officine, estendersi la fabbricazione di Doccia in guisa da supplire al consumo di buona parte d'Italia, se i numerosi Stati nei quali è divisa non avessero adottato un sistema d'isolamento pernicioso per tutti gli abitatori della penisola con dazj e proibizioni che impediscono la circolazione mediterranea dei prodotti nazionali a vantaggio degli esteri.
Se all'Italia sarà concesso (com'è sperabile) di ottenere ad esempio della Germania un sistema doganale proprio dei suoi bisogni economico-industriali, anche la manifattura di Doccia potrà progredire, e acquistare maggior estensione ne'suoi rapporti commerciali; mentre l'attivo e intelligente suo proprietario non omette diligenza né spesa per accrescere pregio e conservare alla patria e alla sua famiglia, in stato florido questo genere d'industria, che alimenta circa 200 individui domiciliati presso Doccia, e che fa ornamento alla Toscana e decoro all'illustre prosapia che lo creò e lo possiede.

mercoledì 21 ottobre 2009

Gio Ponti alla Manifattura di Doccia

Gio Ponti inizia la sua collaborazione con la Richard-Ginori in veste di direttore artistico delle manifatture di Doccia già nel 1923, all’inizio della sua attività professionale. Ufficialmente tale rapporto si concluderà nel 1930, ma pezzi firmati Ponti continueranno ad essere prodotti fino al 1938 se non oltre. Ponti rielabora tutta la produzione della manifattura. In quegli anni proporrà a Doccia un numero enorme di disegni, il più delle volte sotto forma di schizzi inviati per posta a Sesto Fiorentino, dove si trova la manifattura, diretta da Luigi Tazzini, raramente attraverso disegni più elaborati. La sua collaborazione non si esauriva però soltanto nel fornire idee, ma anche nel pubblicizzarle: dava precise indicazioni su come fotografare i pezzi, e ne pubblicò a più riprese le immagini su Domus. I pezzi Richard-Ginori firmati Gio Ponti ottennero grande successo ed approvazione ogni qualvolta vennero esposti. La prima uscita pubblica è alla Biennale di Monza del 1923; gli stessi pezzi vengono riproposti nel 1925 all’Expo di Parigi, dove vincono il Gran Prix per la ceramica. Ancora nel 1925 a Monza i pezzi Richard-Ginori vengono indicati come tra le poche alternative al gusto regionalistico dominante nella mostra; nel 1927, quando Gio Ponti entrerà a far parte del Consiglio organizzatore della Biennale, la presenza di sue opere alla mostra sarà ben più cospicua. L’unicità dell’attività di Ponti presso la manifattura Ginori consiste nel fatto che si tratta della prima sinergia in Italia tra arte e industria, forse addirittura la data di nascita del design italiano. Per Ponti la parola chiave è "diffusione", produzione di pezzi in grande quantità: per tale ragione la manifattura di Doccia, dapprima improntata ad uno stampo puramente artigianale, si converte rapidamente ed assume forme produttive più strettamente industriali. I pezzi Ginori non verranno mai totalmente industrializzati, dato che la decorazione sarà sempre eseguita a mano; ciò nonostante si trascende l’ottica del pezzo unico, aprendo la strada ad un processo evolutivo industriale. Ponti riteneva fondamentale lo stabilire una prezzatura per ciascun pezzo in modo da poterne studiare sin da subito la commerciabilità. L’attività di diffusione e commercializzazione risulta altrettanto importante che quella creativa, e Ponti sa che creare pezzi straordinari che rimangono però invenduti sfocia in un processo fallimentare; pertanto si applicherà costantemente per creare un mercato idoneo alle opere della manifattura. Punto centrale dell’attività di Ponti alla Richard-Ginori appare senz’altro la ricerca di un linguaggio che sia ad un tempo espressione di modernità e di "italianità". Per alcuni fu proprio questo compromesso tra le posizioni dei tradizionalisti e dei razionalisti a provocare la condanna della critica; "compromesso" peraltro comune a molti contemporanei di Ponti e non nel solo campo dell’architettura ma anche nelle arti figurative e in letteratura: posizione sostanzialmente "novecentista". Il linguaggio di Ponti viene indicato come una koinè influenzata dal neoclassicismo magico di Cardarelli e Bontempelli, dalle visioni metafisiche di Sironi e De Chirico. Sostiene Geno Pampaloni che "a Doccia Ponti arricchisce la tradizione italiana di un alfabeto moderno, dando a questo una memoria, una patria". Le immagini mitologiche riportate sulle porcellane vengono rilette secondo uno spirito figurativo diverso, a volte fumettistico, altre volte intensamente poetico. Il grande vaso in maiolica "La conversazione classica", forse il pezzo più significativo di tutta la collezione, rappresenta una promenade di giovani signori su un piano illusionisticamente prospettico, cosparso di cippi, torsi di statue, urne, vasi e frammenti architettonici; sul pavimento a rombi numerosi simboli dall’aspetto tra l’esoterico ed il geometrico. Dice Ponti: "Nella cultura non esiste l’antico, esiste la presenza simultanea e meravigliosa di ogni cosa, antico e attuale." Un vero e proprio manifesto di architettura, secondo Raffaello Giolli; e infatti, osservando le forme disegnate sui vasi di Doccia (ad esempio La casa degli efebi o Le mie donne su nubi e architetture) si constata lampante la somiglianza con le contemporanee case milanesi costruite dallo studio Ponti-Lancia. I decori sono segni codificati applicabili ad oggetti intercambiabili: Ponti non elabora un linguaggio specifico per la ceramica, poiché non è un ceramista (e non lo vuole essere). La grande ammirazione di Ponti per gli artigiani lo porta anche a operare un distacco intellettuale, tenendo ben divisi i propri compiti: a lui l’ideazione di decori, a loro la realizzazione con le tecniche acquisite dalla tradizione. E questo metodo permetterà a Ponti di essere attivo nei più svariati campi del design, pur non possedendo necessariamente le cognizioni tecniche indispensabili per ciascuna pratica. Gli straordinari vasi disegnati da Ponti, che crea nella Manifattura di Doccia le premesse per una produzione industriale, in contraddizione con le tesi novecentiste che mirerebbero esclusivamente alla creazione del "bel pezzo", nel disprezzo della produzione industriale, sono a tutt’oggi tra i più significativi documenti che testimoniano lo spirito di un’intera epoca culturale, quella di Milano negli anni ’20.

domenica 18 ottobre 2009

La famiglia Ginori

La famiglia era originaria del contado di Calenzano e si inurbò a Firenze con il notaio ser Giovanni Ginori, andando ad abitare nella zona di San Lorenzo, dove nascerà il loro principale palazzo, che ancora oggi dà il nome a via de' Ginori. Furono mercanti ed ebbero banchi in proprio che prestavano denaro in tutta Europa tramite varie filiali. Non mancarono le cariche politiche e nel secolo XV Gino di Giovanni venne eletto priore. Gabriello di Piero (nato nel marzo 1450) fu il primo ad ottenere un titolo nobiliare, divenendo prima consigliere di Ludovico il Moro e poi conte palatino da Massimiliano I d'Asburgo. Durante la presa di potere dei Medici i Ginori ne furono alleati, seppure tenendone le distanze. Più importanza assunse la famiglia durante il Ducato, prima, e il Granducato poi. I figli di Pietro Ginori, sposato a Maddalena Strozzi, divisero il casto in due rami: Gino, che tenne il titolo comitale e fu il capostipite dei Ginori Conti, e Leonardo, che fu il capostipite dei Ginori Lisci, che in seguito ottenne il titolo di marchesi. Leonardo Ginori era sposato a Caterina Soderini, la donna che fu usata come esca da Lorenzino de' Medici, che era figlio di sua sorella Maria, nell'agguato dove perse la vita Alessandro de' Medici. Carlo di Leonardo fu priore nel 1513 e gonfaloniere di giustizia nel 1527, oltre che mecenate. Nella seconda metà del Cinquecento i Ginori ingrandirono il palazzo di famiglia, scambiando una proprietà con lo scultore Bartolomeo Ammannati. Pure figlio di Leonardo e fratello quindi di Carlo fu il condottiero Bartolommeo Ginori, di imponente costituzione fisica, che pare fece da modello al Giambologna per il Ratto delle Sabine. Nel XVIII secolo il marchese Carlo Ginori fu un importante uomo politico nella delicata fase di transizione che vide il passaggio del potere in Toscana dai Medici ai Lorena, oltre che un vulcanico imprenditore, noto soprattutto per aver fondato nel 1735 la Manifattura di porcellane di Doccia nella tenuta della sua villa presso Sesto Fiorentino. Nel 1738 ottenne il titolo di marchese in premio ai suoi servigi ed alla sua attività imprenditoriale. Suo figlio Lorenzo continuò l'opera del padre, curando la manifattura di porcellane (dal 1758 al 1791) e portandola ad essere una delle più importante e rinomate d'Europa, con una qualità artistica che poteva rivaleggiare con Meissen e Vienna. Seguirono alla direzione Carlo Leopoldo Ginori (1792-1837), Lorenzo Ginori (1838-1878) e Carlo Benedetto Ginori (1879-1896), che fuse la società con la Richard di Milano dando origine alla Richard-Ginori. Nel XIX secolo lavorò per la manifattura Ginori il padre di Carlo Lorenzini, detto Collodi, l'autore di Pinocchio. Il ragazzo venne ospitato nel palazzo Ginori di via de' Rondinelli, come ricorda una targa sulla facciata dell'edificio. Importanti uomini politici furono i senatori Piero Ginori Conti e Lorenzo Ginori Lisci, quest'ultimo anche sindaco di Firenze. Nel XX secolo fu un importante letterato e storico dell'arte Leonardo Ginori Lisci.

Albero Genealogico:
Il capostipite dell'attuale famiglia Ginori Lisci è Gino di Benvenuto da Calenzano, notaio. Nella prima metà del XV secolo, i Ginori consolidarono le loro fortune finanziarie e politiche con Piero di Francesco di Gino (1362-1440). Leonardo di Francesco nel 1464 sposò Maddalena di Antonio Martelli dalla cui unione nacquero Carlo e Bartolomeo; Carlo fece riedificare l'attuale palazzo di famiglia, il figlio di Bartolomeo, Leonardo, sposò Caterina di Leonardo Soderini. Il figlio Leonardo a sua volta si unì a Clarice Guicciardini: dal loro matrimonio nacque Carlo (1625-1696) che riassestò le finanze di famiglia, ricoprì cariche pubbliche importanti fino ad essere nominato senatore nel 1677, magistrato e capocaccia del cardinale Carlo de' Medici. Lorenzo di Carlo (1647-1710) andò a commerciare a Lisbona dove fu console della nazione fiorentina, nel 1689 fu provveditore alla dogana di Livorno, e rivestì numerosi incarichi pubblici. Suo fratello Leonardo (1648-1716) fu pievano di S. Piero in Bossolo; Giuseppe di Carlo (1655-1736), fu cavaliere e soprintendente dell'Ordine di S. Stefano, senatore, segretario delle Tratte e ministro dello Scrittoio delle Possessioni. Carlo Andrea di Lorenzo (1702-1757) fu il personaggio più ragguardevole della famiglia tra la fine del principato e l'inizio della reggenza lorenese. Molti i suoi titoli onorifici, numerosi gli incarichi di governo: entrò nel Consiglio di Reggenza dove, come rappresentante dell'opposizione al conte di Richecourt, fu allontanato da Firenze con la nomina a governatore della città, del porto e capitanato di Livorno (1746). Acquistò la tenuta di Cecina dalla casa di Lorena, il marchesato di Riparbella, cui unì altri possessi per costituire il feudo per ottenerne l'investititura: dopo l'abolizione del feudi nel 1749 mantenne solo il titolo marchionale, e vi aggiunse quello di conte di Urbech. Il nome di Carlo Ginori è legato a numerose imprese produttive e commerciali: la bonifica del cecinese, la fondazione della manifattura delle porcellane di Doccia (1737) la cui attività fu continuata dai suoi figli. Dal matrimonio con Elisabetta Corsini nacque Lorenzo (1734-1791), sposo di Francesca Lisci che portò in dote le proprietà nel volterrano e l'archivio di famiglia. Erede del patrimonio e del nome Lisci dal 1814 fu Leopoldo Carlo (1788-1837), politico, scienziato, viaggiatore in tutta Europa per proprio conto e per il Granduca; questi sposò nel 1821 Marianna di Paolo Garzoni (1802-1862) da cui nacque Lorenzo (1823-1878), sindaco di Firenze nel 1868. Marianna aveva acquisito il cognome Venturi dal cavalier Ippolito che aveva adottato sua madre, Caterina Colon. Il secondogenito di suo figlio Lorenzo, Ippolito, ereditò così nome e patrimonio dei Venturi dando origine alla famiglia Venturi Ginori Lisci. Carlo Benedetto di Lorenzo Ginori Lisci (1851-1905) fu deputato al Parlamento del Regno, direttore dell'Istituto di belle arti, della Scuola di Architettura e costituì la Società ceramica Richard-Ginori nel 1896. Il figlio Lorenzo (1877-1960) pioniere dell'automobilismo, senatore, ebbe Leonardo (1908-1985), storico cui si deve anche parte dell'attuale ordinamento dell'archivio di famiglia, attualmente proprietà di suo figlio Lionardo Lorenzo.
Lo stemma Ginori ha tre stelle azzurre su banda d'oro in campo azzurro. Nel 1442 Antonio di Giuliano vi aggiunse un giglio d'oro nel capo in quanto priore per concessione di Renato d'Angiò, che venne mantenuto da molti suoi discendenti. La famiglia ha due motti, che alludono alle tre stelle. Uno è "Omne trinum perfectum" (tutto ciò che è trino è perfetto) e l'altro è "Pulchrius lumine trino?" (Cos'è più bello della triplice luce?).

lunedì 12 ottobre 2009

Carlo Ginori


Dal 2 dicembre 2006 al 30 aprile 2007 il Museo Richard Ginori, con sede in viale Pratese 31 a Sesto Fiorentino, proprio accanto alla nuovo fabbrica di purcellane ha presentato una mostra sulla figura di Carlo Ginori, tra le più esaustive che ci siano mai state sulla sua figura. La mostra, attraverso oggetti, incisioni, documenti originali e riproduzioni, propose una rievocazione dell’intera vicenda biografica del marchese Ginori, a partire dai luoghi che furono teatro della sua sfolgorante carriera; da Firenze a Doccia, da Vienna a Cecina e Cortona, per finire con Livorno, città dell’esilio e purtroppo della prematura morte. il Marchese nacque a Firenze il 7 gennaio 1702 e morì l'11 aprile 1757. La prima sezione della mostra era dedicata al rapporto del marchese Ginori con Firenze, sua città natale e palcoscenico di una carriera politica fuori dal comune. La famiglia di Carlo Ginori, di illustre tradizione patrizia e profondamente radicata nel territorio fiorentino, si distingueva nel panorama dell’aristocrazia toscana dell’epoca per il dinamismo e lo spirito imprenditoriale: il padre di Carlo, Lorenzo, aveva infatti costruito la propria fortuna personale esercitando, presso il Banco Ginori a Lisbona, il commercio insieme ai mercanti portoghesi. Carlo ebbe una carriera rapidissima. A sedici anni venne nominato cavaliere di Santo Stefano. Nel 1737, al momento dell'insediamento a Firenze della dinastia Lorena, Carlo Ginori era Segretario del Senato dei Quarantotto, l'organo di governo istituito nel 1532 che si riuniva alla presenza del principe o di un suo delegato. Votava provvedimenti che riguardavano l'ordinamento e le finanze statali del Granduca di Toscana ed eleggeva i membri di molte magistrature. Da quel momento si aprì una stagione di grandi e radicali cambiamenti nella vita politica e governativa del Granducato. Fu percepita subito la necessità di razionalizzare e organizzare meglio gli uffici pubblici, utilizzando nel governo anche nuovi personaggi sia toscani sia mitteleuropei. Un primo fondamentale passo di questo processo fu nel 1739 il motu proprio con il quale furono istituiti i Consigli di Reggenza, di Guerra e di Finanze, con i relativi regolamenti. Il matrimonio con Elisabetta Corsini, già avvenuto nel 1730, proveniente da una delle più cospicue e influenti famiglie cittadine, nipote dell’allora papa Clemente VII e nipote del Viceré di Sicilia Bartolomeo Corsini, servì a rafforzare ulteriormente la sua posizione. Seconda "tappa" della mostra faceva riferimento alla capitale austriaca. Dei due viaggi che Carlo Ginori compì a Vienna, uno avvenne pochi giorni dopo la morte di Gian Gastone de’Medici e fu organizzato nell’intento di prendere contatto con il nuovo granduca e futuro imperatore Francesco Stefano di Lorena. La prima missione oltremontana del marchese, benché condotta con finalità esclusivamente diplomatiche e politiche, fu comunque utile a perfezionare anche alcuni dei più vivi interessi privati di Carlo Ginori, che riuscì a cooptare maestranze esperte nella fabbricazione della porcellana, ma anche nella coltivazione di piante e fiori rari. Fu, inoltre, incaricato dal nuovo Granduca di occuparsi della ricerca degli animali esotici destinati al Serraglio viennese, una curiosa attività, questa, della quale sono rimaste interessantissime tracce nell’Archivio Ginori. Alla visita a Vienna, seguono i rapporti con Venezia. La città lagunare è legata, per Carlo Ginori, ad uno spiacevole incidente di viaggio: la forzata quarantena presso il lazzaretto nuovo di Venezia, a cui fu costretto sulla via del ritorno dal secondo soggiorno viennese, nel 1742, per ottemperare alle severissime misure imposte dalla Serenissima in materia di igiene e profilassi contro la peste. Venezia, inoltre, era anche la città di Giovanni Vezzi, il primo, sfortunato pioniere della fabbricazione della porcellana dura in Italia, a cui comunque Carlo Ginori si rivolse, in cerca di preziosi consigli per la sua impresa. Oltre Firenze, è Doccia il luogo in cui il marchese Ginori riuscì a dare vita ai propri sogni e a lasciare più profonda traccia di sé. Sede dell’antica villa suburbana dei Ginori, nelle terre da cui traeva origine la famiglia dfin dal Medioevo, Doccia fu sempre particolarmente cara a Carlo Ginori, che la scelse per avviarvi la produzione sperimentale della porcellana. Nel 1737, acquistò, nei pressi della sua residenza, la Villa Buondelmonti e la destinò appunto alla fabbrica ceramica: l’adattamento dell’antico edificio alla nuova attività culminò con il progetto di decorazione interna della Galleria del pianterreno, affidato a Vincenzo Meucci e Giuseppe Dal Moro, nel 1754. Accanto alla manifattura di porcellana, le vaste proprietà del marchese Ginori a Doccia accolsero anche i primi greggi di capre d’Angora, allevati con l’intenzione di avviare la tessitura degli scialli di lana, e sempre lì furono tentate alcune tra le prime coltivazioni di piante esotiche utili all’agricoltura, come la vaniglia, il tè, il caffè, gli alberi delle banane e vari tipi di palme, visbili ancora oggi all'interno della villa Ginori. Cecina e Livorno segnano una nuova e decisiva tappa nella vita e nell’infaticabile attività del marchese Ginori. La bonifica del fitto della Cecina, cioè dei terreni paludosi che si estendevano alle foci del fiume Cecina, nella Maremma pisana, fu, insieme alla manifattura delle porcellane, l’altra grande e innovativa impresa che Carlo Ginori promosse per incentivare lo sviluppo economico della Toscana. La villa della Cecina, da lui edificata in una ambiente fino ad allora ostile e desolato, si configurava come un microcosmo autosufficiente, con abitazioni, botteghe, attività manifatturiere e persino prigioni e divenne il nucleo originario dei futuri insediamenti nella zona. A Livorno, invece, Carlo Ginori giunse nel 1746 nelle vesti di Governatore, nominato a sorpresa a causa della ferocissima rivalità con il Conte di Richecourt, capo della Reggenza lorenese, che con questa improvvisa ed improvvida nomina poté allontanare l’acerrimo oppositore da Firenze. Il principale porto del Granducato stava vivendo in quel momento una fase di vivace espansione, che Carlo Ginori seppe favorire grazie alla sua abilità diplomatica, alla sua sensibilità economica e alla sua visione illuminata. Colpito in età ancora giovanile da un fatale colpo apolplettico, nel 1757, Carlo Ginori trovò sepoltura nel Duomo di Livorno, dove ancor oggi, nonostante le gravi distruzioni belliche, sopravvive il suo cenotafio. Solo occasionale, ma comunque di notevole ed indubbio valore, è il legame tra Carlo Ginori e la città etrusca di Cortona. Formatosi in una città come Firenze, nella quale la tradizione della scienza antiquaria poteva vantare illustri eruditi e rappresentanti – tra i più noti sicuramente Michelangelo Buonarroti il Giovane ed Anton Francesco Gori –, Carlo Ginori fu nominato, nel 1756, Lucumone dell’Accademia Etrusca, che aveva appunto sede a Cortona. In tale occasione, fece dono alla società di un singolare tempietto in porcellana, dedicato all’esaltazione delle “Glorie della Toscana”, che oggi rimane quale straordinaria testimonianza del gusto e della cultura del suo committente. L’ultima sezione della mostra era dedicata alla “fortuna” di Carlo Ginori, ovvero alla riflessione più o meno critica che la complessa e multiforme personalità del marchese ha stimolato nei suoi contemporanei ed in quanti hanno avuto modo, nei secoli seguenti, di raccontarne le imprese. A partire dagli elogi e dalle biografie settecentesche, la fortuna di Carlo Ginori prosegue inalterata nel corso del XIX secolo, legandosi sempre più strettamente alla parallela, crescente fortuna della manifattura di porcellana di Doccia. Una rassegna attraverso i resoconti dei viaggiatori stranieri, gli opuscoli celebrativi stampati dalla stessa fabbrica Ginori, oltre alle testimonianze degli storici ottocenteschi, permette di osservare come la valutazione sui meriti e le imprese di una figura straordinaria come quella del marchese Ginori abbia favorito il graduale costituirsi di una vera e propria mitologia del “fondatore”.

domenica 4 ottobre 2009

Carlo Lorenzini ed i rapporti con i Ginori e i Garzoni

I rapporti tra Carlo Lorenzini, i Ginori di Sesto Fiorentino e i Garzoni di Collodi sono davvero interessanti se studiati alla luce della biografia del noto scrittore. Il Lorenzini nasce a Firenze il 24 novembre 1826 dalla madre, Angelina Orzali, che benché diplomata come maestra elementare, fa la sarta della marchesa Marianna Garzoni Venturi, visto che già la madre era la sua cameriera personale. Il padre Domenico Lorenzini, di umili origini aretine, debole di carattere e fragile di salute, lavora come cuoco, invece, per i marchesi Ginori. Visti i cordiali rapporti che intercorrevano tra le due nobili famiglie era spesso uso che l'una andasse a trovare l'altra portandosi ovviamente appresso tutta la servitù personale, e probabilmente fu proprio in queste occasioni che i due si conobbero. Avvenne poi che le capacità di Angelina Orzani fossero notate anche dai Ginori che se la fecero "prestare" per lavorare presso di loro nelle casa fiorentina. Fu dopo questo evento che i genitori del Lorenzini si frequentarono e decisero poi di sposarsi. Primogenito di una numerosa famiglia che comprendeva ben dieci fratelli Carlo riesce, affidato ad una zia, comunque a frequentare le elementari a Collodi. Sebbene di carattere irrequieto e vivace viene avviato agli studi ecclesiastici presso il Seminario di Val D'Elsa e poi dai Padri Scolopi di Firenze. Proprio queste possibilità, decisamente fuori luogo per la famiglia Lorenzini che certo non viveva agitamente, hanno fatto pensare l'istruzione di Carlo sia stata in realtà sostenuta dagli stessi Ginori. Effettivamente la marchesa Marianna Garzoni fu la madrina del futuro scrittore, vista l'amicizia che la legava alla madre. Le male lingue hanno da sempre detto, nelle biografie non ufficiali, che i primi due fratelli Lorenzini, Carlo e Paolo, siano in realtà i figli illegittimi di qualcuno della stessa famiglia Ginori che "procurarono" poi ad Angelina Orzali un marito nella figura del suo cuoco personale. E in quest'ottica si spiegherebbero anche molti altri fatti decisamente poco chiari: oltre al pagamento degli studi del Collodi, anche la possibilità per il fratello Paolo di diventare addirittura direttore della Manifattura delle Porcellane di Doccia. Nello stesso tempo, alla morte del marchese Carlo Ginori, la famiglia Lorenzini si trovò immediatamente in difficoltà economiche tanto che ben sei dei dieci fratelli Lorenzini morirono di stenti e di malattie. Anche lo stesso pseudonimo Collodi, che deriva dal paese di nascita della madre, per la quale aveva un'autentica passione, al contrario del padre, sembra avvalorare ancor più l'ipotesi. Comunque dal momento in cui il fratello Paolo Lorenzini diventa dirigente nella Manifattura Ginori, la famiglia acquista finalmente un po' di serenità e di agiatezza, e Carlo può iniziare la carriera di impiegato e di giornalista. Nel 1843, sempre studiando, iniziò a lavorare come commesso nella libreria Piatti a Firenze. Entrò così nel mondo dei libri e in seguito diventò redattore e cominciò a scrivere. Due anni dopo ottenne una dispensa ecclesiastica che gli permise di leggere l'indice dei libri proibiti. Nel 1847 iniziò a scrivere recensioni ed articoli per la Rivista di Firenze. Nel 1848 allo scoppio della Prima guerra d'indipendenza si arruolò volontario per combattere in Piemonte, come molti altri studenti. Tornato a Firenze fondò una rivista satirica, Il Lampione che però fu censurata e costretta alla chiusura. Nel 1849 diventò segretario ministeriale. L'anno successivo diventò amministratore della libreria Piatti, che, come spesso accadeva all'epoca, svolgeva anche attività di editoria. Nel 1853 fondò un nuovo periodico, Scaramuccia, un giornale teatrale su cui scrisse piccole commedie. Nel 1856 scrisse un articolo utilizzando per la prima volta lo pseudonimo di Collodi. Dello stesso anno sono le sue prime opere importanti: Gli amici di casa e Un romanzo in vapore. Da Firenze a Livorno. Guida storico-umoristica. Nel 1859 partecipò alla Seconda guerra d'indipendenza e infine ritornò a Firenze. Nel 1860 diventò censore teatrale. Nel 1961 su invito del fratello Paolo, scrisse il libello "La Manifattura delle Porcellane di Doccia, cenni illustrativi", che illustrava quanto si buono si era fatto nell'azienda di Sesto Fiorentino, una pratica pubblicitaria decisamente all'avanguardia per l'epoca. E proprio nell'anno dell'Esposizione Nazionale che si era tenuta nella Firenze Capitale d'Italia e dove la stessa fabbrica aveva ottenuta la Medaglia d'oro. Nel 1868, su invito del Ministero della Pubblica Istruzione, entrò a far parte della redazione di un dizionario di lingua parlata, il Novo vocabolario della lingua italiana secondo l'uso di Firenze.
Nel 1875 ricevette dall'editore Felice Paggi l'incarico di tradurre le fiabe francesi più famose. Collodi tradusse Charles Perrault, Marie-Catherine d'Aulnoy, Jeanne-Marie Le Prince de Beaumont. Effettuò anche l'adattamento dei testi integrandovi una morale; il tutto uscì l'anno successivo sotto il titolo di Racconti delle fate.Nel 1877 apparve Giannettino, e nel 1878 fu la volta di Minuzzolo. Il 7 luglio 1881, sul primo numero del periodico per l'infanzia Giornale per i bambini (pioniere dei periodici italiani per ragazzi diretto da Fernandino Martini), uscì la prima puntata de Le avventure di Pinocchio, con il titolo Storia di un burattino. Vi pubblicò poi altri racconti (raccolti in Storie allegre, 1887). Nel 1883 pubblicò Le avventure di Pinocchio raccolte in volume. Nello stesso anno diventò direttore del Giornale per i bambini. Morì improvvisamente nel 1890.
Anche suo nipote Paolo Lorenzini, figlio di suo fratello Ippolito, intraprese più tardi il mestiere di scrittore per ragazzi usando lo pseudonimo di Collodi Nipote. Scrisse, tra gli altri, anche Sussi e Biribissi. Le carte di "Collodi", donate dalla famiglia, sono conservate nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.

sabato 3 ottobre 2009

La Manifattura delle Porcellane di Doccia, cenni illustrativi

"La manifattura delle porcellane di Doccia, cenni illustrativi" è il titolo di un libello scritto da C.L. (Firenze, Grazzini Giannini e C., 1861), proprio nell'anno in cui a Firenze si svolse l'Esposizione nazionale dove la fabbrica sestese ottenne la medaglia d'oro. Ovviamente quel C.L. semianonimo altro non era che la sigla per Carlo Lorenzini e l'opuscolo fu redatto probabilmente dietro incarico del fratello Paolo che dirigeva la fabbrica Ginori e pubblicato in occasione dell'Esposizione Italiana, che si tenne in quell'anno a Firenze. La traccia è quella di un lavoro simile, scritto venti anni prima dall'Albèri, ma presenta un elogio sentito, pionieristico in ambito italiano, della politica di progresso industriale e sociale attuata dai conti Ginori, che avevano istituito una scuola elementare ed una professionale e una cassa di mutuo soccorso, per i lavoratori della fabbrica e i loro familiari, nonchè l'amplimento della strada di accesso alla Manifattura, oggi via XX settembre a Sesto Fiorentino. Vi si illustravano anche le novità tecniche introdotte, soprattutto i forni sempre più moderni, e la successione dei primi proprietari, dal marchese Carlo Ginori, che la creò, al figlio Lorenzo, al nipote Carlo Leopoldo.

venerdì 2 ottobre 2009

Sesto Fiorentino è una Città della Ceramica

Sesto Fiorentino è una delle 33 città italiane che appartengono all'Associazione Italiana Città della Ceramica (AICC), fondata nel 1999, e gran parte del merito va proprio alla presenza nel nostro paese della Società Richard-Ginori 1735. Questa deve la sua origine alla Manifattura di Doccia fondata dal Marchese Carlo Ginori, proprio in località Doccia. E' datata 1896 la fusione con il gruppo industriale milanese Augusto Richard, a cui la fabbrica fu costretta ad allearsi proprio dopo il calo di vendite seguito all'abbandono dell'attività di direttore proprio di Paolo Lorenzini. Nel 1897 acquista lo stabilimento ceramico per terraglia del Cav. Felice Musso di Mondovì e nel 1900 quello di Vado dove si produce grés. Dal 1923 al 1930 Giò Ponti lavora come direttore artistico della società. Nel 1965 si fonde con la Società Ceramica Italiana di Laveno. Nel '75 la fusione con la Pozzi da vita alla Pozzi-Ginori, ma già due anni dopo la proprietà passa in mano alla S.A.I. di Salvatore Ligresti. Nel 1993 la Pozzi-Ginori è acquistata dalla Sanitec Corporation, gruppo multimarca leader europeo nell'arredobagno, mentre la manifattura Richard Ginori viene rilevata nel 1998 dalla Pagnossin S.P.A. di Carlo Rinaldini azienda lader del settore dei servizi da tavola. Nel 2006 entra nella proprietà di Richard-Ginori il gruppo emiliano di Rocco Bormioli. Si ipotizza la costruzione di un nuovo stabilimento di produzione, e si cerca di portare il marchio Ginori, uno dei più antichi del brevetto italiano, nelle catene della grande distribuzione. Per ridurre i costi molti prodotti a marchio Richard-Ginori non sono più prodotti a Sesto Fiorentino, ma la scelta non si rivela giusta e Bormioli lascia a dicembre di quello stesso anno. Travolta da una situazione debitoria preoccupante, alla guida dell'azienda arriva l'immobiliarista Luca Sarreri presidente anche della controllante Pagnossin. Ma il futuro dell'azienda è legato ad un filo sottolissimo connesso proprio alle prospettive immobiliari che taluni ipotizzano per l'area dello stabilimento sestese. Nell'Ottobre del 2007 la Richard-Ginori viene rilevata dalla Starfin Spa di Roberto Villa. Nel Marzo 2009, dopo 3 anni, il titolo della società ritorna ad essere quotato in borsa e si inizia a parlare di spostare lo stabilimento, sia pur rimanendo a Sesto Fiorentino, e di ammodernarlo.

giovedì 1 ottobre 2009

Giornata 1 - Tappa 1 del "Cammino di Pinocchio": Sesto Fiorentino è il paese dei barbagianni

Castello è oggi un quartiere di Firenze ma fino alla metà dell'800 faceva parte di Sesto Fiorentino. Era proprio lì che Paolo Lorenzini, fratello di Carlo "Collodi", Direttore della Manifattura delle Porcellane di Doccia, aveva una villa estiva, dove spesso ospitava il fratello, popolare giornalista e novellista. E pare proprio che il libro "Le avventure di Pinocchio" abbia preso molti spunti proprio dalla vita quotidiana della mia città. Uno scrittore, sestese di adozione, Nicola Rilli, oggi ormai scomparso, ha intervistato molti degli amici del popolare "Collodi" proprio all'indomani della sua dipartita, rintracciando sul territorio molto di quanto aveva descritto l'autore della favola più tradotta al mondo. Un esempio? Il paese dei barbagianni sembra fosse Colonnata, quartiere di Sesto Fiorentino, sede proprio della Manifattura delle Porcellane di Doccia. Da quella fabbrica infatti uscivano gli operai impregnati di caolino, materiale biancastro, elemento base per ottenere la porcellana, che rendeva i sestesi che vi lavoravano dello stesso colore dei popolari rapaci da cui trasse spunto il Lorenzini. E poi la stessa Colonnata, posta alla pendici di Monte Morello, la montagna più alta della provincia fiorentina, era un ottimo habitat per gli stessi barbagianni.