martedì 31 agosto 2010

la storia di Alessandro Moreni regio fonditore

ecco cosa si legge sulle "Notizie istoriche dei contorni di Firenze" di Domenico Moreni su Alessandro Moreni che per lungo tempo visse all'interno della villa Tognozzi-Moreni: "Un dotto nostro scrittore nel primo tomo dell'Almanacco d'economia per Granducato di Toscana a pag.91 dice su questo proposito quanto appresso: 'Ai tempi del Granduca Cosimo I era un segreto da pochissimo conosciuto, il vincer la durezza del porfido, e quasi a lui si attribuiva la notizia di lavorarlo. Ora è comune in Roma, ed il altri paesi d'Italia, tra' quali Firenze, dove il sig. Alessandro Moreni, Regio Fonditore, ne fa di bellissimi lavori a forza d'acqua. Son già parecchi anni, ch'egli inventò, e costruì, un'ingegnosa macchina, la quale collo stesso meccanismo fa in un medesimo tempo più operazioni, come tirare il fil di ferro, trapanar cannoni, vuotar mortai, ec. ed è posta alla sua villa di Quinto, luogo copioso d'acque. Ivi dunque sono stai lavorati quattro bellissimi vasi etruschi, due in porfido e due in granito egiziano rosso, alti ciascheduno un braccio e mezzo e larghi 11 soldi e di tre pezzi l'uno, all'eccezione di uno solo in porfido, ch'è di quattro; di più diverse tabacchiere, ed un calamaio con tutto il suo finimento, tirati all'ultima sottigliezza'".

lunedì 30 agosto 2010

la famiglia Salimbeni

Ecco quello che racconta Wikipedia della famiglia Salimbeni, con il curioso aneddoto della loro fortuna fatta come mercanti: "Agli inizi del Trecento Bartolino Salimbeni, membro di una delle più ricche e gloriose famiglie di Siena, decise di trasferirsi a Firenze per praticare il mestiere della mercatura (commercio e prestito di denaro). Essendo ancora vivo il ricordo della sconfitta fiorentina della Battaglia di Montaperti (1260) ed anche della sofferta cacciata dei ghibellini, i suoi discendenti pensarono bene di cambiare il cognome in Bartolini, omettendo lo scomodo gentilizio che ricordava una delle maggiori famiglie ghibelline di Siena. Si dedicarono con successo alla produzione ed al commercio della lana, arricchendosi fortemente. Nel 1432 Lorenzo Bartolini Salimbeni partecipò alla campagna di Lucca contro Milano e Siena ed al suo ritorno in città commissionò a Paolo Uccello il famoso trittico della Battaglia di San Romano (1438 circa), che qualche decennio dopo fu chiesto con insistenza ai suoi discendenti da Lorenzo il Magnifico, i quali finirono per venderglielo per farglielo appendere nella sua camera in palazzo Medici. Nel XV secolo poi il cognome verrà raddoppiato riprendendo anche l'antico nome dei Salimbeni. La scaltrezza nei commerci è uno dei capisaldi della famiglia, tanto che essa scelse come proprio motto Per non dormire, fatto che, secondo un aneddoto, è da ricondursi ad una vicenda durante la quale un Bartolini, mercante in una piazza europea, ingannò i mercanti rivali invitandoli a un banchetto ed offrendo loro pietanze soporifere, che gli permisero poi di accaparrarsi senza rivali una partita di merce particolarmente vantaggiosa. L'insegna familiare per questo riporta anche tre papaveri entro un anello. Il motto Per non dormire piacque a Gabriele D'Annunzio che lo volle fare suo. Giovanni Bartolini Salimbeni fu l'esponente della famiglia che, agli inizi del XVI secolo, volle dare lustro e prestigio alla sua casata facendosi costruire un grandioso palazzo, che si sarebbe andato ad aggiungere ai possedimenti del Palazzo di Valfonda ed al Palazzo Bartolini di via Porta Rossa. Davanti alla basilica di Santa Trinita (dove la famiglia aveva la cappella fatta affrescare da Lorenzo Monaco), Giovanni incarica così Baccio d'Agnolo di costruire il più bel palazzo mai edificicato a Firenze: Palazzo Bartolini Salimbeni. Baccio d'Agnolo sperimentò soluzioni architettoniche così innovative per Firenze (siamo negli anni 1520) da essere inizialmente molto aspramente criticate: sembrava un vero fiasco, tanto che alcune decorazioni furono tolte (e fu anche aggiunta la scritta sul portale Carpere promptius quam imitari, cioè "È più facile criticare che imitare"), ma alla fine si rivelò uno dei modelli più copiati per l'architettura residenziale dei secoli a venire. Nel Palazzo di Gualfonda poi i Bartolini Salimbeni possedevano uno dei più bei giardini privati di Firenze, a detta dei cronisti dell'epoca degno di una reggia, che fu però presto venduto dalla famiglia, già dopo la morte di Giovanni; oggi non ne rimane quasi nessuna traccia, dopo che il suo terreno è stato confiscato nell'Ottocento per costruire la Stazione Maria Antonia, poi la Stazione di Santa Maria Novella. Nei tempi del principato la famiglia godé di un periodo di relativa calma e stabilità economica. Ai primi del Settecento il condottiero Giovan Battista Bartolini Salimbeni ottenne per la sua casata il titolo di marchese dall'Imperatore Carlo VII. Il palazzo in Santa Trinita fu invece abitato dai discendenti dei Bartolini Salimbeni fino agli anni Trenta dell'Ottocento, prima di essere venduto".

giovedì 26 agosto 2010

La strada poderale all'interno della proprietà dei Tognozzi Moreni crocevia degli itinerari etruschi nel nostro territorio

Cogliamo l'occasione per ringraziare Grazia Ugolini che nel suo libro "testimonianze archeologiche a Sesto Fiorentino" ci permette di valutare compiutamente l'importanza dei possedienti della villa Tognozzi Moreni nel territorio sestese: "L'impianto viario in epoche antiche, doveva avere in pianura percorsi di collegamento che erano utilizzati soprattutto da pescatori, commercianti fluviali e pastori. A quota superiore erano tracciati percorsi di crinale secondario o di mezza costa: oltre ai percorsi di collegamento tra gli insediamenti. Probabile che uno dei tracciati più importanti collegava, da una parte, Poggio del Giro con le tombe monumentali della Mula e della Montagnola e dall'altra parte con le tombe comuni di Castellina – Palastreto, mantenendosi sempre in quota secondo un percorso di mezza costa il più agevole e rapido. Su alcuni documenti dei primi del 1900 è segnata una strada poderale nella proprietà Tognozzi - Moreni denominata "via dei morti" o "via del poggio" toponimi identificati con Poggio del Giro e Palastreto, come fulcro di zone sacre e cimiteriali. Il tracciato locale si allacciava, presumibilmente, ad un tracciato principale che attraversava il Ponte alle Volpi e proseguiva oltre, in due direzioni opposte: in un senso verso Fiesole e nell'altro verso l'abitato all'incrocio dei due fiumi il Marina ed il Bisenzio, per poi dividersi in due rami uno che andava verso Artimino e uno verso il Mugello per proseguire verso Marzabotto e Felsina".

giovedì 12 agosto 2010

La Villa Tognozzi Moreni

Proseguendo lungo l'itinerario del Cammino di Pinocchio, proprio di fronte alla villa Solaria, all'angolo con la strada che porta alla Castellina ecco che troviamo la Villa Tognozzi Moreni, che, come ci insegna la Dottoresa Beatrice Mazzanti, fu un possedimento cinquecentesco della famiglia fiorentina dei Bartolini Salimbeni anche se le sue origini sono sicuramente più antiche come dimostra la presenza di un corpo edilizio ben visibile, strutturato a forma di torre. La villa è celebre anche per essere stata la residenza di Alessandro Moreni, regio fonditore e per essere un luogo copioso d'acque che opportunamenti incanalate vennero utilizzate sin dal XVI secolo per la lavorazione di metalli e pietre dure. Ancor oggi si notano alcuni resti di queste canalizzazioni.

mercoledì 11 agosto 2010

Villa Solaria-Torrigiani come villa Garzoni

Per chi non avesse avuto modo di leggere la biografia di Carlo "Collodi" Lorenzini sicuramente non saprà che ha partecipato in "prima linea" alle guerre di indipendenza e che conseguentemente, una volta diventato giornalista-scrittore, ha continuato "a modo suo" a "combattere" per il Risorgimento italiano. Infatti Carlo Collodi decise di aderire alla Massoneria, mettendo a disposizione, per così dire, la sua penna a servizio dell'ideale che contribuì a dare una svolta alla costituzione dell'Italia. Lo stesso editore de Le avventure di Pinocchio era un massone, che incaricò lo stesso Collodi di educare ai principi della lealtà e della cescita moral le giovani menti dei più piccoli: in pratica il futuro dell'Italia. Ecco quindi che in chiave massonica il racconto di Pinocchio è in realtà un percorso catartico-iniziatico al diventare un perfetto massone. Il bimbo cattivo infatti, attraverso tutte le sue peripezie diventa un ragazzo buono: il gran Massone. E cosa c'entra con le ville in questione? Già abbiamo detto che probabilmente la villa Solaria era stata adattata dai Torrigiani a percorso massonico, come è ancor oggi il giardino Torrigiani in prossimità di Porta Romana a Firenze, anche se oggi non ne resta traccia e gli studi sull'argomento sono, con un eufemismo, allo stadio embrionale. Ma anche la villa Garzoni a Collodi, dove visse e nacque la madre di Carlo, prima di trasferirsi nelle proprietà dei Ginori, è un sicuro punto di riferimento massonico. In tanti sostengono che lo pseudonimo Collodi, Carlo se lo sia scelto, in primo luogo per rispetto alla madre, ma non si capirebbe il perchè dello sgarbo verso il padre e la sua città, Firenze, a cui è sempre stato tanto legato. Ecco allora che si è insinuato che il padre "vero", come del fratello Lorenzo, fosse in realtà lo stesso marchese Ginori, e che il padre del Collodi, cuoco presso la famiglia magnate della porcellana, fosse in realtà un personago di ripiego da sposare a cui era stata sottoposta la madre. Prova ne sarebbe che i due fratelli Lorenzini furono "sponsorizzati" nell'educazione e nella vita poi dallo stesso marchese, che giunse perfino a destinarli alla guida della sua fabbrica, e alla gestione del primo marketing aziendale italiano, con un libro di elogio alla maniattura commissionato al Collodi, in occasione di una esposizione intrnazionle. All morte del marchese la famiglia subì n vero e proprio tracollo finanziario, tanto che buona parte dei fratelli e sorelle del Collodi morirono di fame. Io propoendo invece per un'altra ipotesi: infatti fu nel 1859, a 33 anni esatti, esattemente gli anni di Cristo, che Lorenzini prese lo pseudonimo di Collodi, forse proprio in onore di quella villa Garzoni che egli amava perchè esempio massonico, al pari del colore dei capelli della fata, quel turchino da sempre colore "ufficiale" dei grembiuli massonici. Il parco ha il labirinto, prova indispensabile da superare nel percorso massonico. Anche le statue sono emblematiche: la pagana Pan accanto a quella di Flora simbolo della natura, quella di Apollo accanto a quella di Diana, cioè il Sole e la Luna, capisaldi alchemici, e perfino i cigni della vasca, presenti ancor oggi, sono il simbolo della trasformazione dei sogni in realtà. Questi sono solo alcuni spunti, spero proprio che qualcun altro mi aiuti in questa ricerca.

lunedì 9 agosto 2010

La cappella della villa Solaria

Lungo la strada del "Cammino di Pinocchio" sono anche interessantissime due "costruzioni" che fanno riferimento a due delle ville già prese in esame: le due cappelle gentilizie della Villa Mansi e della villa Solaria. Se della prima le notizie sono praticamente inesistenti e non ho ancora conosciuto nessuno capace di varcare la soglia di quella costruzione, della cappella invece della villa Solaria ci sono degli aggiornamenti decisamente sconcertanti per gli amanti di Sesto Fiorentino come noi. Infatti la cappella fa aprte degli accordi presi dall'amministrazione comunale con l'ente che gestisce la Villa Solaria, che ha già provveduto al suo restauro, che comprende anche altri ambienti della villa oggi non in uso, in ottica di un suo prossimo passaggio di gestione proprio al Comune. Ma ad oggi non sono ancora stati approntati i documenti necessari ed un altro pezzo di storia e di bellezza archiettonica sestese è ancora tenuto sottochiave e praticamente inaccessibile ai più studioso compresi. Restiamo in attesa di novità ed aggiornamenti che speriamo arrivino nel più breve tempo possibile in ottica di poter aggiornare in sensi positivo i "venticinque lettori" (di manzoniana memoria) del mio blog

lunedì 2 agosto 2010

Domizio Torrigiani e il Grande Oriente d'Italia

Appare evidente che lasciare un ambiente bellissimo come la villa Torrigiani non deve essere stato facile per i nobili fiorentini: solo un evento eccezionale potrebbe aver convinto i Torrigiani a vendere la loro villa fiorentina: ecco quindi che Wikipedia ci viene ancora una volta incontro raccontandoci la vita di Domizio Torrigiani (Lamporecchio, 19 gennaio 1876 – Lamporecchio, 31 agosto 1932, l'ultimo dei Torrigiani possessori della villa che ben presto divenne Solaria, quasi cancellando anche la memoria della famiglia fiorentina che più delle altre l'aveva resa importante e famosa. Domizio Torrigiani è stato un avvocato italiano e Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia dal 1919 al 1925. Torrigiani lega il suo nome ad uno dei periodi più difficili della storia della Massoneria italiana: fu eletto Gran Maestro del G.O.I. il 23 giugno 1919, dopo la fine della prima guerra mondiale e poco prima dell'avvento del fascismo. Succedette nella carica ad Ernesto Nathan. Inizialmente i rapporti tra il G.O.I. di Torrigiani ed il regime fascista erano tutt'altro che conflittuali. Tuttavia con il passare degli anni il regime mutò atteggiamento. Nel 1923 fu stabilita l'incompatibilità dell’appartenenza contemporanea al Partito Nazionale Fascista ed alla Massoneria; nel 1925 il regime attua con maggiore decisione il proprio attacco contro la Massoneria italiana: vengono più volte distrutte varie sedi del G.O.I., viene occupato Palazzo Giustiniani, e a novembre entra in vigore la legge che sanziona con il licenziamento tutti gli impiegati pubblici che risultano affiliati a «società segrete». Torrigiani fu perciò obbligato dal decreto del 22 novembre 1925, a sciogliere tutte le logge massoniche. Già nel 1924 la Massoneria italiana era stata accusata di anteporre gli interessi stranieri a quelli italiani. Torrigiani rispose inviando direttamente a Benito Mussolini una protesta formale in rappresentanza del Grande Oriente d'Italia, nella quale lamentava le devastazioni fasciste ai danni delle logge massoniche, rivendicando al proprio Ordine il merito di propugnare idee di libertà, di giustizia, di indipendenza. Nell'aprile 1927 Torrigiani, di ritorno dalla Francia, viene arrestato principalmente per ragioni politiche. Inizialmente è tradotto presso il Carcere di Regina Coeli, successivamente è inviato al confino dapprima Lipari, poi a Ponza. Le misure di sicurezza adottate nei suoi confronti erano particolarmente dure e intense; prevedevano infatti vigilanza diurna e notturna con la scorta raddoppiata, pattuglie militari a vigilanza della sua abitazione ed un servizio di pattugliamento marino al fine di evitare qualsiasi tipo di fuga. Liberato solamente nell'aprile del 1932, si ritrova quasi cieco a causa delle sofferenze patite al confino. Trasferitosi nella sua casa toscana di Lamporecchio, muore il 31 agosto 1932.