mercoledì 21 ottobre 2009

Gio Ponti alla Manifattura di Doccia

Gio Ponti inizia la sua collaborazione con la Richard-Ginori in veste di direttore artistico delle manifatture di Doccia già nel 1923, all’inizio della sua attività professionale. Ufficialmente tale rapporto si concluderà nel 1930, ma pezzi firmati Ponti continueranno ad essere prodotti fino al 1938 se non oltre. Ponti rielabora tutta la produzione della manifattura. In quegli anni proporrà a Doccia un numero enorme di disegni, il più delle volte sotto forma di schizzi inviati per posta a Sesto Fiorentino, dove si trova la manifattura, diretta da Luigi Tazzini, raramente attraverso disegni più elaborati. La sua collaborazione non si esauriva però soltanto nel fornire idee, ma anche nel pubblicizzarle: dava precise indicazioni su come fotografare i pezzi, e ne pubblicò a più riprese le immagini su Domus. I pezzi Richard-Ginori firmati Gio Ponti ottennero grande successo ed approvazione ogni qualvolta vennero esposti. La prima uscita pubblica è alla Biennale di Monza del 1923; gli stessi pezzi vengono riproposti nel 1925 all’Expo di Parigi, dove vincono il Gran Prix per la ceramica. Ancora nel 1925 a Monza i pezzi Richard-Ginori vengono indicati come tra le poche alternative al gusto regionalistico dominante nella mostra; nel 1927, quando Gio Ponti entrerà a far parte del Consiglio organizzatore della Biennale, la presenza di sue opere alla mostra sarà ben più cospicua. L’unicità dell’attività di Ponti presso la manifattura Ginori consiste nel fatto che si tratta della prima sinergia in Italia tra arte e industria, forse addirittura la data di nascita del design italiano. Per Ponti la parola chiave è "diffusione", produzione di pezzi in grande quantità: per tale ragione la manifattura di Doccia, dapprima improntata ad uno stampo puramente artigianale, si converte rapidamente ed assume forme produttive più strettamente industriali. I pezzi Ginori non verranno mai totalmente industrializzati, dato che la decorazione sarà sempre eseguita a mano; ciò nonostante si trascende l’ottica del pezzo unico, aprendo la strada ad un processo evolutivo industriale. Ponti riteneva fondamentale lo stabilire una prezzatura per ciascun pezzo in modo da poterne studiare sin da subito la commerciabilità. L’attività di diffusione e commercializzazione risulta altrettanto importante che quella creativa, e Ponti sa che creare pezzi straordinari che rimangono però invenduti sfocia in un processo fallimentare; pertanto si applicherà costantemente per creare un mercato idoneo alle opere della manifattura. Punto centrale dell’attività di Ponti alla Richard-Ginori appare senz’altro la ricerca di un linguaggio che sia ad un tempo espressione di modernità e di "italianità". Per alcuni fu proprio questo compromesso tra le posizioni dei tradizionalisti e dei razionalisti a provocare la condanna della critica; "compromesso" peraltro comune a molti contemporanei di Ponti e non nel solo campo dell’architettura ma anche nelle arti figurative e in letteratura: posizione sostanzialmente "novecentista". Il linguaggio di Ponti viene indicato come una koinè influenzata dal neoclassicismo magico di Cardarelli e Bontempelli, dalle visioni metafisiche di Sironi e De Chirico. Sostiene Geno Pampaloni che "a Doccia Ponti arricchisce la tradizione italiana di un alfabeto moderno, dando a questo una memoria, una patria". Le immagini mitologiche riportate sulle porcellane vengono rilette secondo uno spirito figurativo diverso, a volte fumettistico, altre volte intensamente poetico. Il grande vaso in maiolica "La conversazione classica", forse il pezzo più significativo di tutta la collezione, rappresenta una promenade di giovani signori su un piano illusionisticamente prospettico, cosparso di cippi, torsi di statue, urne, vasi e frammenti architettonici; sul pavimento a rombi numerosi simboli dall’aspetto tra l’esoterico ed il geometrico. Dice Ponti: "Nella cultura non esiste l’antico, esiste la presenza simultanea e meravigliosa di ogni cosa, antico e attuale." Un vero e proprio manifesto di architettura, secondo Raffaello Giolli; e infatti, osservando le forme disegnate sui vasi di Doccia (ad esempio La casa degli efebi o Le mie donne su nubi e architetture) si constata lampante la somiglianza con le contemporanee case milanesi costruite dallo studio Ponti-Lancia. I decori sono segni codificati applicabili ad oggetti intercambiabili: Ponti non elabora un linguaggio specifico per la ceramica, poiché non è un ceramista (e non lo vuole essere). La grande ammirazione di Ponti per gli artigiani lo porta anche a operare un distacco intellettuale, tenendo ben divisi i propri compiti: a lui l’ideazione di decori, a loro la realizzazione con le tecniche acquisite dalla tradizione. E questo metodo permetterà a Ponti di essere attivo nei più svariati campi del design, pur non possedendo necessariamente le cognizioni tecniche indispensabili per ciascuna pratica. Gli straordinari vasi disegnati da Ponti, che crea nella Manifattura di Doccia le premesse per una produzione industriale, in contraddizione con le tesi novecentiste che mirerebbero esclusivamente alla creazione del "bel pezzo", nel disprezzo della produzione industriale, sono a tutt’oggi tra i più significativi documenti che testimoniano lo spirito di un’intera epoca culturale, quella di Milano negli anni ’20.

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