domenica 27 dicembre 2009

La fama di Ferrante di Niccolò Capponi, l'ultimo degli auditori dei benefici ecclesiastici "in solitario"


Nella foto la cappella Barbadori Capponi in Santa Felicita a Firenze, chiesa dove si trova il cenotafio di Ferrante di Niccolò Capponi. Un'altro dei proprietari della villa Gerini è stato Ferrante di Niccolò Capponi di cui vale sicuramente la pena di parlare visto il suo incarico di altissima responsabilità in seno all'amministrazione medicea. Il nuovo principato mediceo di Cosimo I si consolidò in Toscana ben prima della Controriforma. Creatura di papi e cardinali di Casa Medici, ma osteggiato da altri pontefici (a partire da Paolo III Farnese, che voleva creare uno Stato per la sua famiglia), il ducato di Firenze conobbe sotto Cosimo I una fase di riorganizzazione istituzionale, che coinvolse anche le Chiese locali. Fra le non poche riforme cosimiane in questo settore ne vanno ricordate almeno tre. Con la circolare del 15 luglio 1539 sull’amministrazione dei benefici ecclesiastici vacanti il duca affidò ad una nuova magistratura fiorentina – l’Auditorato dei benefici vacanti – l’amministrazione di quegli uffici ecclesiastici, che erano temporaneamente privi dei loro rispettivi titolari. In virtù di questa circolare, ad ogni vacanza di ogni beneficio, il rappresentante locale del governo nominava un vicario, che aveva l’incarico di curare il patrimonio e di soddisfare gli oneri sacri (come la celebrazione delle messe), sotto la vigilanza dell’Auditorato. In questo stesso ufficio, poi, si dovevano presentare i nuovi rettori per esibire i documenti delle loro nomine ed ottenere quella «licenza di possesso», che era indispensabile per ottenere dal vicario pro-tempore la consegna del patrimonio beneficiale. Come nello Stato di Milano, questo ministero divenne il grande controllore statale della legittimità delle nuove nomine a questi uffici e sin dagli inizi della sua attività dimostrò di voler difendere gli antichi diritti di nomina vantati dai laici, si trattasse di famiglie private, di comunità rurali o di enti pubblici. Già nel 1532 gli affari relativi alla giurisdizione erano stati assegnati a una commissione di quattro senatori presieduta dal Duca. Dal 1546, invece, di questa materia risulta essersi occupato un unico Auditore della giurisdizione, una carica riguardo alla cui istituzione non è pervenuto o, più probabilmente, non fu emanato alcun decreto ufficiale che ne stabilisse le funzioni in maniera specifica. Le competenze di questo magistrato, tuttavia, consistevano nella tutela della giurisdizione del principe da interferenze di autorità straniere e nella vigilanza su funzionari e magistrati interni. In seguito l'attenzione e l'attività dell'Auditore si concentrarono soprattutto sui rapporti tra la giurisdizione civile e quella ecclesiastica, in difesa dei diritti del Granduca nelle relazioni con la Curia romana e con le istituzioni religiose presenti in Toscana. Una materia particolarmente spinosa e controversa, perché coinvolgeva tendenzialmente un numero vario e multiforme di persone giuridiche, fu sempre quella dei benefici ecclesiastici. L'Auditore, in particolare, aveva il compito di rilasciare una "licenza", detta anche "polizza di possesso", ai nuovi rettori, cui non bastava l'investitura canonica per entrare in effettivo possesso dei beni patrimoniali dei benefici (le cosiddette "temporalità"), ma avevano bisogno appunto di un riconoscimento da parte dell'autorità civile. Il Granduca, in tal modo, manteneva il proprio controllo, anche politico, sul vasto patrimonio delle chiese locali spettanti ai membri del clero. I benefici, d'altra parte, erano di natura diversa. Alcuni venivano assegnati solo dal papa e dai vescovi, altri erano di competenza di capitoli ecclesiastici o di altri corpi religiosi, altri ancora erano prerogativa di soggetti laici (singoli individui, nuclei familiari, comunità, il Granduca stesso ecc.) che dotavano un ente religioso di beni su cui poi mantenevano un diritto il patronato. Un insieme tanto complesso di interessi non mancava di creare conflitti e contenziosi, di cui rimane traccia soprattutto nella serie dei cosiddetti "Negozi beneficiali e giurisdizionali", presente nel fondo dell'"Audiore dei benefici ecclesiastici poi Segreteria del Regio Diritto". L'Auditore, inoltre, si occupava degli atti emanati dalle supreme autorità ecclesiastiche per valutarne validità e applicabilità all'interno del Granducato, in conformità con l'istituto giuridico dell'"Exequatur". Doveva, inoltre, esercitare le funzioni di supremo giudice in materia ecclesiastica, discutere a chi toccasse giudicare i religiosi passibili di processo ed eventualmente occuparsi della loro cattura. Una parte non secondaria dell'attività dell'Auditore, poi, riguardava l'operato delle giusdicenze del dominio, cioè controllava i rettori dei dipartimenti locali, sia in rapporto con le altre giurisdizioni, e quindi soprattutto con quella ecclesiastica, sia in relazione al governo centrale. Cruciali erano infine le questioni e la salvaguardia dei confini del Granducato nonché le controversie riguardanti le precedenze nei rapporti internazionali. La carica era perciò delicata e prestigiosa tanto da essere assegnata a uomini di fiducia del principe. Durante il governo di Cosimo I fu ricoperta dal giurista Lelio Torelli, un "lutaraneggiante" ma anche uno dei consiglieri più intimi e apprezzati dal sovrano, di cui era anche Segretario e Auditore di camera. Torelli mantenne la carica fino alla morte, avvenuta nel 1576. Già all'epoca del primo Granduca gli affari trattati dall'Auditore della giurisdizione videro prevalere progressivamente le questioni relative ai rapporti con l'autorità della Santa Sede, rappresentata sul territorio granducale principalmente dai vescovi, dai tribunali ecclesiastici, dai commissari e delegati apostolici e, dal 1560, dal nunzio apostolico, tanto che ne risentì la denominazione stessa del magistrato che fu indicato sempre più spesso come Auditore dei benefici ecclesiastici. Segno dell'attenzione costante per rapporti con la Curia è la fitta rete di corrispondenze intrattenuta dall'Auditore con gli ambasciatori medicei residenti a Roma. Dopo Lelio Torelli, la carica fu detenuta da Giovan Battista Concini (1576-1605), Paolo Vinta (1605-1609), Niccolò dell'Antella (1609-1630), Alessandro Vettori (1631-1661) e dal nostro Ferrante Capponi (1661-1688). In genere i titolari furono sempre molto determinati ed incisivi nella difesa della giurisdizione dello Stato contro quella della Chiesa, anche se nel corso del Seicento è stato riscontrato un processo di progressivo cedimento del primo nei confronti della seconda, in particolare durante il periodo di reggenza di Maria Maddalena d'Austria e di Cristina di Lorena (1621-1628), che governarono a nome del minorenne Ferdinando II, si assistette ad un indebolimento dell'autorità granducale rispetto a quella della Chiesa, determinato sia dalla ridotta capacità di imporsi da parte delle tutrici sia dal clima controriformistico, che portò la corte medicea ad allinearsi in maniera più puntuale ai dettami della Santa Sede. Morto Capponi, l'incarico fu affidato, per un breve periodo, all'allora notaio e cancelliere dell'ufficio, Michelangelo Ceccarelli dopodiché il Granduca Cosimo III istituì la "Congregazione per gli affari giurisdizionali", una commissione composta dal titolare dell'Auditorato più tre membri, uno dei quali doveva ricoprire il ruolo di segretario con il compito di istruire gli affari e di tenere informato il principe. Una volta scelti dal Granduca, i nomi dei membri dovevano essere comunicati alla Segreteria delle Tratte che li registrava e li rendeva pubblici. I primi nominati furono l'auditore Pietro Angeli, il sacerdote Francesco Maria Sergrifi, l'auditore Andrea Poltri e il preposto Felice Monsacchi. Successivamente entrarono nella Congregazione l'avvocato Domenico Andreoni, Filippo Buonarroti, il senatore e presidente dell'ordine di S. Stefano Niccolò Antinori, Federico Giordani e Giovan Battista Cerretani. La creazione della commissione rientrò in una politica più generale di Cosimo III che istituì organi collegiali anche in altri ambiti. Si è pure ipotizzato che la Chiesa stessa incoraggiasse tale innovazione perché non disposta ad accettare decisioni prese da un unico individuo laico in questioni tanto delicate e centrali per i suoi interessi. Nel 1733, in sostituzione del deceduto Filippo Buonarroti il Granduca Gian Gastone nominò come titolare della carica l'agguerrito Giulio Rucellai, che agì dimostrando una notevole indipendenza rispetto agli altri membri della Congregazione e assumendo un atteggiamento tutt'altro che conciliante nei confronti della Santa Sede. Rucellai fu l'ultimo Auditore dei benefici ecclesiastici poiché nel 1737 la Reggenza lorenese abolì formalmente la magistratura e creò la Segreteria del Regio Diritto. Il cenotafio del senatore Ferrante di Niccolò Capponi, morto il 14 gennaio 1688 si trova nella chiesa di Santa Felicita a Firenze.

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